Il paesaggio nella giurisprudenza amministrativa

gennaio 20, 2014
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La protezione del bene giuridico paesaggio è di rango tra i più elevati nelle tutele costituzionali.
La vastità e la complessità delle questioni attinenti alla disciplina giuridica1 del bene “paesaggio” suggeriscono di affrontare prioritariamente alcuni argomenti di rilevanza centrale che suscitano un significativo e vivace dibattito in giurisprudenza.Accertamento di compatibilit
Tra questi vi è senza dubbio il sistema sanzionatorio previsto per la violazione delle norme a tutela del paesaggio, con riguardo particolare all’istituto dell’accertamento di compatibilità paesaggistica, previsto dagli articoli 167 e 181 del “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, d’ora innanzi per brevità indicato anche solo come “Codice”2.
Per la migliore comprensione dell’istituto, occorre prendere le mosse dall’art. 146, comma 4, del Codice (articolo recante la disciplina dell’autorizzazione paesaggistica), in forza del quale l’autorizzazione paesaggistica non può mai essere rilasciata a sanatoria, fatta eccezione per i casi di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 167 dello stesso Codice.
Viene così affermato il principio generale di divieto di rilascio di autorizzazione c.d. “postuma” o a sanatoria, divieto giustificato dalla rilevanza del bene giuridico protetto – il paesaggio, appunto – che gode di pregnante tutela costituzionale, essendo espressamente menzionato nei primi dodici articoli della Costituzione, recanti i Principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale3.
Il generale divieto di autorizzazione paesaggistica in sanatoria comporta, quale inevitabile conseguenza, che in caso di abuso paesaggistico – cioè di intervento non autorizzato lesivo dei valori paesaggistici tutelati dal Codice – il responsabile è sempre tenuto alla rimessione in pristino, oltre a subire eventuali altre conseguenze sanzionatorie sul piano penale, anche nell’ipotesi in cui l’intervento sarebbe stato teoricamente suscettibile di una preliminare autorizzazione4.
La deroga al precedente divieto di sanatoria è individuata dai commi 4 e 5 dell’art. 167. In particolare, il comma 4 prevede che l’autorità amministrativa preposta alla tutela del paesaggio accerti la compatibilità paesaggistica dell’intervento effettuato sine titulo oppure in violazione dell’autorizzazione paesaggistica in tre casi:
a) lavori che non abbiano determinato creazione di superfici utili o di volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
b) impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica;
c) lavori qualificabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria, secondo le definizioni di cui all’art. 3 del Dpr 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico dell’edilizia).
Tralasciando i casi – pur anch’essi problematici – delle lettere b) e c), attualmente il dibattito giurisprudenziale e dottrinale si è indirizzato sull’ipotesi di compatibilità paesaggistica di cui alla lettera a) del comma 4.
Prima di affrontare la specifica questione, preme però evidenziare, per completezza, che, ai sensi del successivo comma 5 dell’art. 167, in caso di accertamento positivo della compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto unicamente al pagamento di una sanzione pecuniaria – in luogo del ripristino – con mantenimento – di conseguenza – delle opere pur realizzate in assenza o in difformità dal titolo.
L’accertamento della compatibilità paesaggistica assume rilevanza non solo sul piano amministrativo – in quanto converte, per così dire, la sanzione demolitoria in quella pecuniaria, facendo salva l’opera – ma anche sul piano penale, in quanto esclude l’applicazione della sanzione penale prevista, per l’esecuzione non autorizzata di lavori su beni paesaggistici, dall’art. 181, comma 1, del Codice5.

Superfici e volumi
Ciò premesso e ritornando ai problemi sollevati in sede di applicazione della norma di cui alla lettera a) del comma 4 dell’articolo 167, l’attenzione della giurisprudenza amministrativa si è indirizzata sulla corretta interpretazione delle espressioni “superfici utili o volumi”, la realizzazione dei quali preclude, visto il tenore letterale della norma, l’accertamento della compatibilità paesaggistica.
Considerato che l’aggettivo “utile” pare riferirsi soltanto alla “superficie” e non al “volume” (vista la congiunzione disgiuntiva “o”), si discute, nell’ambito della variegata casistica che caratterizza la materia, quale “creazione di volume” assuma rilevanza ai fini dell’esclusione della compatibilità paesaggistica, tenuto conto che gli incrementi volumetrici posti in essere in esecuzione di lavori non autorizzati possono essere effettivamente minimali se non addirittura sostanzialmente impercettibili e quindi apparentemente non in grado di arrecare, in concreto, alcuna effettiva lesione al bene giuridico tutelato.
In particolare, secondo parte della giurisprudenza amministrativa, dalla nozione di “volume” rilevante ai fini paesaggistici, la cui creazione impedisce ogni santoria per così dire postuma, devono essere esclusi i c.d. volumi tecnici, secondo la definizione di questi ultimi individuata dalla giurisprudenza formatasi in materia edilizia e urbanistica6.
Altro indirizzo della giurisprudenza amministrativa, ispirato a maggior rigore interpretativo, limita la rilevanza della nozione di “volume tecnico” strettamente alla materia urbanistica ed edilizia, escludendo che la stessa possa trovare accoglimento allorché viene in considerazione la materia – costituzionalmente più “sensibile” – della tutela del paesaggio.
Quest’ultimo orientamento, certamente molto rigoroso, finisce sostanzialmente per sovrapporre la nozione giuridica di “volume” di cui all’art. 167 – ostativo all’accertamento di compatibilità paesaggistica – con qualsivoglia volume fisico, indipendentemente dalla propria rilevanza funzionale; mentre il primo indirizzo ricordato sembra ispirato dalla finalità di impedire eccessi distorsivi nell’applicazione della norma, per evitare che sia attribuita rilevanza, ai fini dell’esclusione di ogni sanatoria, anche ad incrementi volumetrici oggettivamente misurabili ma privi sul piano funzionale di ogni concreta rilevanza e tali da non creare alcun allarme sociale per la lesione al paesaggio7.
Una interessante e innovativa proposta di soluzione della accennata questione interpretativa dell’art. 167, comma 4, del Codice, è stata di recente offerta dal Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, sede di Palermo, che con ordinanza della Sezione I n. 802 del 10.4.2013 ha addirittura sollevato una questione di interpretazione del diritto dell’Unione Europea (UE) dinnanzi alla Corte di Giustizia UE, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE)8.
In particolare, il Collegio siciliano ha chiesto ai Giudici di Lussemburgo se l’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e il principio di proporzionalità – quale principio generale dell’Unione Europa – ostano a una normativa nazionale, come quella del più volte citato art. 167, che esclude l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria per qualsivoglia incremento di volume o superficie, indipendentemente dalla verifica in concreto della compatibilità dell’intervento con i valori paesaggistici dello specifico sito considerato.
L’ordinanza ha dato luogo a un intenso dibattito, talora anche vivace9, che ha visto adesioni e critiche.

Tutela del paesaggio in Europa
Senza dubbio l’ordinanza si caratterizza per la novità e anche per l’approfondimento delle questioni; pur tuttavia può destare perplessità il ricorso alla c.d. pregiudiziale comunitaria, in assenza di specifiche norme dell’Unione Europea destinate alla tutela del paesaggio e quindi della difficoltà di individuare un parametro al quale ancorare la richiesta di interpretazione proposta alla Corte di Giustizia UE10.
A complicare la questione, si aggiunga che l’ordinamento comunitario, a differenza di quello italiano, non individua con chiarezza una nozione di “paesaggio”, che spesso può confondersi con quella di “ambiente”, mentre in Italia la distinzione appare più netta11.
Si resta pertanto in attesa della decisione della Corte UE, nella speranza – come hanno messo in luce taluni operatori – che la soluzione dei giudici di Lussemburgo non apra la strada a una generalizzata possibilità di sanatoria degli abusi paesaggistici, in contrasto con il regime rigoroso dell’attuale sistema, ispirato non solo alla tutela di un primario valore costituzionale (art. 9 della Costituzione), ma anche alla considerazione della fragilità del paesaggio italiano e delle difficoltà, prima ancora politiche che giuridiche, di evitare la proliferazione degli abusi.

Poteri di annullamento
Fra le più frequenti questioni sulla tutela del paesaggio portate all’attenzione della giurisprudenza amministrativa, continua ad assumere rilevanza quella dei presupposti e dei limiti del potere dell’Amministrazione statale dei Beni culturali, attraverso le Soprintendenze, di annullare le autorizzazioni paesaggistiche ritenute illegittime12.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha più volte confermato il proprio indirizzo che limita il potere di annullamento ai soli casi di illegittimità dell’autorizzazione, con esclusione di ogni valutazione del merito dell’azione amministrativa in capo alle Soprintendenze, seppure con la specificazione che costituisce ragione legittima di annullamento l’assenza di motivazione del provvedimento autorizzatorio, che giustifica l’annullamento da parte della Soprintendenza per difetto di motivazione13.
Quanto ai giudici amministrativi di primo grado, è stato riconosciuto, stante la rilevanza costituzionale del bene-paesaggio, che il provvedimento ministeriale di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica, laddove stigmatizza un evidente difetto di motivazione di quest’ultima, può assumere il carattere di atto vincolato, con conseguente applicazione della possibilità di sanatoria di cui all’art. 21 octies della legge 241/199014.

Le commissioni per il paesaggio
Una (per certi versi) curiosa pronuncia sulla normativa del Codice ha consentito al TAR Campania15  di affermare due importanti principi relativi alla composizione delle commissioni locali per il paesaggio, previste dal Codice stesso16.
Il primo – che ha portato all’accoglimento del ricorso – è quello della necessità della nomina di soggetti qualificati in materia di tutela paesaggistica, necessità alla quale deve corrispondere sul punto una adeguata motivazione del provvedimento, che costituisce espressione di discrezionalità tecnica, come tale sindacabile dal giudice amministrativo.
Il secondo principio desumibile dalla pronuncia del tribunale napoletano è quello della necessità di rispettare, anche in sede di scelta dei membri della commissione per il paesaggio, la regola della parità fra i sessi all’accesso alle cariche pubbliche di cui all’art. 51 della Costituzione, anche se previa idonea disposizione dello Statuto comunale, che dovrà indicare le modalità di realizzazione concreta del principio di parità.

Reperti e cimeli
Un ultimo cenno merita la sentenza della Corte Costituzionale 17 luglio 2013, n. 194, di declaratoria dell’illegittimità costituzionale degli articoli 1, comma 2, 2 e 4, commi 1, 2 e 3, della legge della Regione Lombardia 31 luglio 2012, n. 16, sulla valorizzazione dei reperti mobili e dei cimeli appartenenti a periodi diversi dalla prima guerra mondiale.
La pronuncia ha costituito l’occasione per l’affermazione di importanti principi sulla natura del Codice e sul riparto di competenze legislative fra Stato e Regioni in materia di tutela e di valorizzazione dei beni culturali17.
In primo luogo, la Corte attribuisce al Codice la natura di norma attuativa dell’art. 9 della Costituzione, assurgendo quindi al rango di “parametro interposto”, alla stregua del quale misurare la compatibilità costituzionale di disposizione eventualmente in contrasto con esso.
Inoltre, allo scopo di chiarire la rilevante distinzione fra “tutela” e “valorizzazione” del patrimonio culturale, la Consulta ha precisato che rientra nella prima l’individuazione dei beni facenti parte del patrimonio culturale, unitamente alla loro protezione e conservazione.
La valorizzazione implica invece l’esercizio da parte delle Regioni di funzioni dirette a favorire la migliore conoscenza oltre che l’utilizzazione e la fruizione del patrimonio culturale.
Viene quindi censurata la scelta legislativa regionale di assegnare alla Regione stessa il potere di individuazione di reperti mobili e cimeli storici esistenti sul territorio.
L’intervento regionale, conclude la Corte nel confermare l’incostituzionalità delle norme di legge impugnate in via principale dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, potrebbe esplicarsi soltanto successivamente all’individuazione dei beni da tutelare da parte dello Stato, per la salvaguardia dei beni che, pur non ricompresi fra i primi, hanno interesse in senso lato culturale non per l’intera comunità statale ma per una o più comunità locali.

Giovanni Zucchini
magistrato della Sezione II del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, Milano

 

Testo della lezione tenuta al Convegno “La tutela del paesaggio” promosso dalla Camera amministrativa distretto Lombardia orientale (Cadlo) a Brescia il 18 ottobre 2013.2 Il Codice (denominato talora anche “Codice Urbani”, dal nome dell’allora Ministro per i beni culturali Giuliano Urbani) è stato approvato con decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, pubblicato sul Supplemento ordinario n. 28/L alla “Gazzetta ufficiale” del 24 febbraio 2004, n. 45.
Significative modifiche al testo originario sono state introdotte attraverso i decreti legislativi n. 62 e n. 63 del 2008, entrambi pubblicati sulla “Gazzetta ufficiale” del 9 aprile 2008, n. 84.

3 Art. 9 della Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

4 Si noti la differenza fra il sistema del Codice e quello del Testo unico dell’edilizia, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. L’art. 36 di quest’ultimo (riprendendo analoga norma dell’art. 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47), consente sempre all’autore dell’abuso edilizio di ottenere un permesso in sanatoria qualora l’intervento effettuato senza titolo risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione sia a quello di presentazione della domanda (c.d. doppia conformità). Nella disciplina del DPR 380/2001, pertanto, la sanatoria dell’abuso edilizio, ovviamente sussistendo la doppia conformità, è sempre ammessa, quanto meno come regola generale, indipendentemente dall’entità dei volumi o delle superfici abusivamente realizzati.

Per il comma 1 dell’art. 181 “Chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici è punito con le pene previste dall’art. 44, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380”. Il successivo comma 1-ter dello stesso articolo 181 esclude l’applicazione della sanzione del primo comma nelle medesime tre ipotesi di cui al comma 4 dell’art. 167.

6 Sul concetto di “volume tecnico”, la giurisprudenza è molto vasta. In estrema sintesi, volendo tratteggiare una nozione, il volume tecnico è un’opera edilizia priva di ogni autonomia funzionale, destinata a contenere impianti al servizio di un edificio principale, impianti che a loro volta devono esclusivamente soddisfare le esigenze dell’edificio stesso e che non possono però essere collocati all’interno di quest’ultimo. In giurisprudenza si vedano, fra le tante, Cassazione civile, sez. II, 3.2.2011, n. 2566; Consiglio di Stato, sez. IV, 28.1.2011, n. 687, e 4.5.2010, n. 2565; TAR Campania, Napoli, sez. III, 9.11.2010, n. 23699, e sez. IV, 10.5.2010, n. 3433. Rilevante – per la propria analitica motivazione – è anche TAR Campania, Salerno, sez. I, 25.6.2013, n. 1429. Tutte le sentenze del giudice amministrativo qui citate, sono reperibili sul sito istituzionale www.giustizia-amministrativa.it.

7 Per l’indirizzo più rigoroso, si vedano: TAR Campania, Salerno, sez. I, 11.10.2011, n. 1642, e TAR Campania, Napoli, sez. IV, 17.2.2010, n. 963; per l’orientamento che valorizza la no-zione di “volume tecnico” anche ai fini paesaggistici, TAR Pu-glia, Bari, sez. III, 13.1.2013, n. 35, e TAR Campania, Salerno, n. 1429/2013, citata alla nota n. 5. Per una interpretazione maggiormente elastica della nozione di “volume”, sembra orientato lo stesso Ministero per i beni e le attività culturali, con nota del Segretariato generale n. 33 del 26.6.2009.

8  Si legga il testo integrale dell’ordinanza del Tar palermitano sempre sul sito www.giustizia-amministrativa.it

9 Si veda, per completezza, il commento apparso sulla rivista giuridica on line giustamm.it a cura di Paolo Carpentieri.

10 Si ricordi, e si perdoni l’ovvietà, che l’art. 267 del TFUE prevede che alla Corte di Giustizia possa (o debba, se si tratta di giudice nazionale di ultima istanza), essere sottoposto un quesito interpretativo del diritto dell’Unione Europea, non essendo neppure immaginabile che la Corte sia chiamata a dirimere questioni interpretative esclusivamente di diritto interno.

11 L’art. 131 del Codice qualifica il paesaggio come “territorio espressione di identità il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni”, sicché il paesaggio non può essere confuso con l’ambiente né costituisce parte di esso, essendo invece legato anche a fattori umani e culturali e non solo per così dire “fisici”. Tale digressione vuole evidenziare come l’assenza di identità di concetti fra l’ordinamento nazionale e quello dell’UE può rendere arduo l’operato della Corte di Giustizia. In ambito internazionale, esiste una Convenzione Europea sul paesaggio, adottata a Firenze il 20 ottobre 2000 per iniziativa del Consiglio d’Europa, organizzazione internazionale diversa dall’Unione Europea. Alla convenzione fa espresso riferimento l’art. 132 del Codice. La convenzione è stata ratificata nell’ordinamento italiano con legge 9 gennaio 2006, n. 14, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale 20 gennaio 2006, Supplemento Ordinario n. 16.

12 Potere previsto dall’art. 159 del Codice.

13 In tal senso, Consiglio di Stato, sez. VI, 21.1.2013, n. 298, 29.3.2013, n. 1843 e 4.10.2013, n. 4899, per le quali l’Amministrazione statale può annullare l’autorizzazione repu-tata illegittima per violazione dell’obbligo di motivazione, potendo altresì indicare le ragioni che, in concreto, conducono a ritenere le opere non compatibili con i valori paesaggistici tu-telati. Tale indicazione non viola il principio, ribadito anche nelle due sentenze di cui sopra, secondo cui l’Autorità statale non può sindacare nel merito, ma solo per profili di legittimità, gli atti autorizzativi paesaggistici.

14 TAR Sardegna, sez. II, 15.1.2013, n. 33. Attribuisce natura vincolata all’annullamento statale delle autorizzazioni paesaggistiche anche TAR Toscana, sez. III, 10.1.2013, n. 7.

15 TAR Campania, Napoli, sez. I, 26.6.2013, n. 3338, reperibile nel testo integrale in www.giustizia-amministrativa.it

16 Attualmente la previsione è quella dell’art. 148 del Codice che, fra l’altro, impone che i componenti siano scelti fra soggetti dotati di particolare, pluriennale e qualificata esperienza in tema di paesaggio.

17  Si ricordi che, ai sensi dell’art. 117 comma 2 lettera s) della Costituzione, spetta alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la “tutela dei beni culturali”, mentre il successivo comma 3 riserva alla potestà legislativa concorrente Stato-Regione, la potestà in materia di “valorizzazione dei beni culturali”.

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