Scuola di Adro: sindaco e giunta risarciscano le spese legali

settembre 23, 2013
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Sent. n. 222/2013
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA LOMBARDIA

 

 

composta dai Magistrati:

Claudio GALTIERI Presidente

Eugenio MUSUMECI Consigliere

Giuseppina VECCIA Referendario relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul giudizio di responsabilità n. 27569, instaurato ad istanza del Procuratore regionale della Corte dei conti per la Regione Lombardia nei confronti di


tutti quanti rappresentati e difesi dall’avv. Leonardo Di Brina, dagli Avv.ti Andreas Widmann e Karl Pfeifer e dall’ avv. Domenico Aiello presso il cui studio in Milano, Corso Matteotti 1/A, sono elettivamente domiciliati.

Visto l’atto di citazione del 25 ottobre 2012, iscritto al n. 27569 del registro di Segreteria, e gli atti tutti della causa;

Uditi, nella pubblica udienza del 20 marzo 2013, il relatore Referendario Giuseppina Veccia, il Pubblico Ministero nella persona del Vice Procuratore Generale Barbara Pezzilli e gli avvocati Karl Pfeifer e l’avv. Maria Emanuela Mascalchi, in sostituzione dell’ avv. Domenico Aiello, per i convenuti.

MOTIVI DELLA DECISIONE

FATTO

Il Procuratore regionale della Corte dei Conti per la Regione Lombardia ha promosso azione di responsabilità nei confronti del sig. LANCINI Danilo Oscar, nella qualità di sindaco e dei sigg. ANTONELLI Lorenzo, FRUSCA Giovanna, GALLI Patrizia, MARCHETTI Ivana, FALCONI Maria Teresa e ROSA Paolo nella qualità di componenti della Giunta comunale, per il risarcimento del danno indiretto arrecato al Comune di Adro, quantificato nell’importo di euro 10.569,71.

Espone la Procura attrice che la vicenda ha preso avvio da numerosi esposti ad essa presentati in conseguenza dell’apposizione di simboli leghisti negli arredi del complesso scolastico Istituto Comprensivo statale del Comune di Adro e della loro rimozione, ordinata dal Giudice del lavoro di Brescia con provvedimento del 29 novembre 2010, confermata dal Collegio con ordinanza del 7 febbraio 2011.

In particolare, dall’istruttoria condotta dall’Organo requirente sono emerse le seguenti circostanze di fatto.

Con delibera n. 93 del 3 giugno 2010, la Giunta comunale di Adro ha autorizzato, entro il limite di spesa complessivo di € 193.000,00, l’acquisto dei necessari arredi per le aule del nuovo plesso scolastico che avrebbe dovuto iniziare la sua attività a partire da settembre 2010.

In base alle schede tecniche approvate dalla Giunta e relative a detta fornitura, la parte superiore dei banchi prevedeva una traversa tubolare di rinforzo sulla quale doveva essere inciso il nome del Comune di Adro e lo stemma il “sole delle Alpi” sulla “O” di Adro, incisione poi sostituita, in base ad un accordo tra la ditta fornitrice ed il Comune, con l’apposizione di un adesivo recante la medesima effige.

Alla data dell’11 settembre 2010, giorno di inaugurazione, l’intero complesso scolastico presentava negli arredi, sulle vetrate e sul tetto dell’istituto circa 700 decorazioni rappresentanti il “sole delle Alpi”.

In pari data il Dirigente scolastico, con nota indirizzata al sindaco di Adro, l’odierno convenuto Danilo Oscar LANCINI, esprimeva la sua disapprovazione per la massiccia presenza di tale effige e, riconducendo tale immagine al simbolo della Lega Nord, ne chiedeva l’immediata rimozione.

La vicenda, inoltre, provocava le proteste di personale della scuola, di docenti, di genitori degli alunni e di varie associazioni e l’interessamento delle autorità, con ampia risonanza nei quotidiani locali e nazionali.

Con lettera del 14 settembre 2010 il Direttore generale dell’Ufficio scolastico per la Lombardia chiedeva al sindaco di Adro di adoperarsi per la rimozione dei simboli in discorso, ma tale richiesta non sortiva alcun effetto.

Quindi, il 6 ottobre 2010 lo stesso Direttore generale, rilevata la permanenza della situazione di fatto, con nota inviata per conoscenza anche al sindaco, invitava il Dirigente scolastico ad attivarsi personalmente al fine di ripristinare un ambiente scolastico scevro da possibili contestazioni, e di salvaguardare l’integrità sostanziale dei beni affidati.

Seguiva una nota con cui l’autorità comunale diffidava il Dirigente scolastico dal modificare gli arredi forniti dal Comune, con l’avvertenza che, in caso contrario, lo stesso Dirigente, in qualità di consegnatario, sarebbe stato considerato responsabile delle eventuali modifiche ed asportazioni.

Nonostante tale comunicazione, il giorno 12 ottobre, il Dirigente Scolastico, coadiuvato da docenti e collaboratori scolastici, procedeva a rimuovere tutte le effigi del simbolo “sole delle Alpi”, ad eccezione di quelle apposte sul tetto, per le quali si rendeva necessario un più complesso intervento, successivamente posto in essere dall’Ufficio tecnico del Comune di Adro, per un costo di euro 53,02.

Nel frattempo le organizzazioni sindacali dei dipendenti del plesso scolastico agivano nei confronti del Comune di Adro, dell’Istituto scolastico e del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, affinchè – previo accertamento del carattere discriminatorio dell’apposizione di simboli leghisti all’interno del plesso scolastico – ne venisse ordinata la cessazione e la rimozione degli effetti, anche mediante pubblicazione del provvedimento su un quotidiano a tiratura nazionale e locale.

Con delibera della Giunta n. 157 del 28.10.2010, il Comune di Adro, decideva di costituirsi in giudizio conferendo a legale di fiducia la rappresentanza e difesa in ogni fase e grado del giudizio.

Con ordinanza del 29 novembre 2010 il Tribunale del lavoro di Brescia dichiarava l’esclusiva responsabilità del Comune di Adro per l’iniziativa concretizzatasi nella riconosciuta condotta discriminatoria e condannava l’ente locale a rimuovere in modo definitivo e permanente tutte le effigi raffiguranti il “sole delle Alpi” ed a rifondere le spese processuali sostenute da parte attrice e dalle altre Amministrazioni convenute, con onere di pubblicazione per estratto del provvedimento giudiziario su quotidiani a diffusione nazionale e locale.

A seguito di reclamo promosso dal legale dell’ente locale, su mandato del sindaco LANCINI, il Tribunale di Brescia, in funzione di giudice collegiale del lavoro, con ordinanza del 7 febbraio 2011 confermava quasi pressoché integralmente l’ordinanza impugnata.

Rinvenendo nei fatti sopra descritti concrete fattispecie di responsabilità amministrativa, la Procura Regionale ha notificato agli odierni convenuti il prescritto invito a dedurre per il danno indiretto subito dal Comune di Adro, quantificato nell’importo complessivo di € 26.136,76 ed imputato in solido, a titolo di dolo, per il 70% al Sindaco LANCINI e per il restante 30% in parti uguali ai componenti della Giunta, assessori ANTONELLI, FRUSCA, GALLI, MARCHETTI, FALCONI e ROSA per aver espresso voto favorevole alla delibera n. 93/2010, di autorizzazione all’acquisto degli arredi scolastici recanti il simbolo in argomento ed alla delibera n. 157/2010, di conferimento dell’incarico a legale di fiducia per la difesa e rappresentanza nel giudizio promosso da un’Organizzazione sindacale dinanzi al Giudice del lavoro.

Ritenute le deduzioni fornite dagli invitati non idonee a superare le contestate ipotesi di responsabilità e ravvisato, comunque, un pregiudizio indiretto provocato al Comune di Adro, seppure in un diverso, minore importo, la Procura ha proceduto alla notificazione dell’atto di citazione introduttivo dell’odierno giudizio, per il risarcimento di un danno pari ad euro 10.569,71 (costituito dalla somma dei tre mandati di pagamento, rispettivamente di euro 4.534,92, di euro 3.806,26 e di euro 2.228,00, per il rimborso delle spese processuali.

In particolare, il Requirente ha ravvisato nell’intera vicenda non solo l’assoluta illiceità ma anche l’irragionevolezza della condotta della Giunta comunale ed in particolar modo del sindaco nel mostrarsi, nonostante gli interventi delle più alte cariche istituzionali, irremovibili nel perpetrare un comportamento di palese antigiuridicità e nell’assumere l’ulteriore decisione di resistere nel giudizio promosso dalle Organizzazioni sindacali – giungendo sino al reclamo al Tribunale in funzione di Giudice collegiale del lavoro – senza alcuna preventiva valutazione tecnico-giuridica delle eventuali possibilità di soccombenza.

Tali condotte sarebbero indicative, per la Procura, di un elemento psicologico caratterizzato dal dolo (diretto o eventuale) o, in via meramente subordinata, dalla colpa cosciente.

Il diverso apporto causale fornito al verificarsi dell’evento dannoso ha indotto la Procura a ritenere tale danno imputabile per il 70 %, pari ad euro 7.398,79, al sindaco LANCINI e per il 30%, pari ad euro 3.170,92 ai restanti assessori.

Tutti i convenuti si sono costituiti nel presente giudizio, rappresentati e difesi dall’avv. Leonardo di Brina. Il difensore ha rilevato l’appartenenza del simbolo utilizzato al patrimonio storico-culturale del territorio, al fine di escludere la volontà di propaganda politica dei suoi assistiti e la conseguente irragionevolezza del loro comportamento.

In subordine, con riguardo alla quantificazione del danno, la difesa ha chiesto di limitarne l’importo ad euro 6.762,92, non riconoscendo dovute le somme derivanti dal pagamento di una parcella allo studio legale Polizzi, di euro 3.806,26 – che non sarebbe mai stato contestato in occasione dell’invito a dedurre – e dal costo di rimozione dell’effige dal tetto dell’istituto, nell’importo di Euro 53,02, trattandosi di operazione che il sindaco si sarebbe impegnato ad eseguire direttamente, con esclusione dell’intervento dell’Ufficio tecnico comunale.

All’odierna udienza di discussione il P.M. ha ribadito la propria tesi accusatoria chiedendo l’accoglimento della domanda proposta.

Il difensore dei convenuti, nel riportarsi alle deduzioni ed alle argomentazioni svolte negli atti difensivi prodotti, ha precisato in particolare:

– la riconducibilità del simbolo “sole delle Alpi” alla cultura locale, ulteriormente suffragata dalla recente delibera di inserire tale simbolo nel gonfalone del Comune e dalla somiglianza con l’effige della “rosa camuna” presente nello stemma della regione Lombardia;

– la non lesività dei diritti altrui derivante dall’impiego di tale simbolo, e ciò in analogia con quanto statuito in ambito europeo dalla sentenza CEDU n.30814 del 18.03.2011;

– la disponibilità del sindaco LANCINI a “razionalizzare” la presenza del simbolo contestato, come sarebbe dimostrato dalla missiva rivolta in tal senso al Direttore generale dell’Ufficio scolastico per la Lombardia;

– l’inammissibilità di una delle voci di danno erariale prospettate dalla Procura, consistente nel pagamento di una parcella allo studio legale Polizzi, in quanto non contestata nell’invito a dedurre.

Il P.M. d’udienza, Vice procuratore generale dott.ssa Pezzilli, ha replicato insistendo per l’accoglimento della domanda giudiziale, ritenendo infondate le argomentazioni avversarie, e per sentire riconosciuta l’imputabilità del pregiudizio sopportato dal Comune di Adro alla condotta illegittima osservata dai convenuti.

Dopo le repliche dei difensori dei convenuti, il giudizio è quindi passato in decisione.

DIRITTO

In assenza di eccezioni preliminari formulate dalla difesa dei convenuti, il Collegio è chiamato ad accertare la fondatezza della pretesa azionata dal Pubblico Ministero, concernente un’ipotesi di danno erariale arrecato al Comune di Adro in conseguenza dell’apposizione di simboli riconducibili a partito politico negli arredi del complesso scolastico Istituto comprensivo statale di Adro e della loro successiva rimozione, ordinata dal Giudice del lavoro di Brescia con ordinanza del 29 novembre 2010 e confermata dal Collegio, con ordinanza del 7 febbraio 2011.

Nel merito, la domanda proposta dalla Procura regionale è meritevole di accoglimento, in quanto risulta accertata, nella concreta fattispecie, la sussistenza degli elementi essenziali e costitutivi della contestata responsabilità amministrativo-contabile, come disciplinati dalla normativa vigente in materia.

Tali elementi si sostanziano in un danno patrimoniale, economicamente valutabile, arrecato alla pubblica amministrazione, in una condotta connotata da colpa grave o dolo, nel nesso di causalità tra il predetto comportamento e l’evento dannoso, oltreché nella sussistenza di un rapporto di impiego o di servizio fra coloro che lo hanno determinato e l’ente che lo ha subito.

I. Circa il danno patrimoniale, costituito dall’esborso della somma di euro 10.569,71 – versata dal Comune di Adro in favore dello studio legale E. Polizzi – A. Guariso e dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Brescia, a rifusione delle spese legali liquidate all’esito del giudizio dinanzi al Giudice del lavoro – la determinazione dell’importo e la definitività del pregiudizio appaiono inconfutabili alla luce dei mandati di pagamento n.272 del 22.02.2011, eseguito il 1°.03.2011, per un importo di euro 4.534,92; n. 870 del 03.05.2011, eseguito il 09.06.2011, per un importo di euro 3.806,26 e n. 1941 del 25.10.2011, eseguito il 02.11.2011, per un importo di euro 2.228,00, tutti versati in atti dalla Procura attrice.

In proposito, risulta priva di pregio l’eccezione sollevata dalla difesa secondo cui non sarebbe imputabile ai convenuti, nell’ambito del predetto danno, l’importo di euro 3.806,26 in quanto tale spesa non sarebbe stata mai contestata nell’invito a fornire deduzioni, notificato ai medesimi convenuti in data 05.06.2012.

L’eccezione sembra riguardare, quindi, la sussistenza del vizio di parziale difformità tra i due atti, invito e citazione.

Il Collegio, al riguardo, pone in evidenza come, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, attraverso l’invito a dedurre la Procura regionale si limiti a prospettare al presunto responsabile una situazione dannosa, invitandolo a chiarire i fatti oggetto dell’istruttoria e la propria posizione rispetto ad essi. Il destinatario dell’invito acquista, in tal modo, una posizione giuridica tutelata che si concretizza nella facoltà di produrre deduzioni, di essere sentito, di consultare il fascicolo.

L’invito così inteso, pur non potendo essere del tutto generico, è comunque un atto dal contenuto aperto, nel quale la contestazione di responsabilità non ha ancora assunto i caratteri della definitività. Il contenuto minimo della contestazione istruttoria deve quindi riguardare l’individuazione e quantificazione indicativa del danno, l’identificazione dei presunti responsabili, le funzioni svolte e la qualifica rivestita nell’ambito della procedura e della situazione da cui è derivato il danno, il periodo temporale nel quale si è sviluppata la condotta, omissiva o commissiva, la qualificazione della condotta.

Il complesso di tutti questi elementi contribuisce a determinare il petitum e la causa petendi e costituisce il parametro per valutare la coerenza dell’invito a dedurre con il successivo atto di citazione. E’ pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza contabile che l’atto di citazione non può e non deve essere strutturato come una mera riproduzione dell’invito (v. SS.RR n. 7/98/QM, Sezione III d’Appello n. 2/2002, Sez. II d’Appello n. 99/06, Sez. Lazio n. 113/2012, Sez. Lombardia n.476/2012), in quanto, pur dovendo necessariamente far ad esso riferimento, costituisce la rappresentazione definitiva della contestazione, alla luce anche delle deduzioni eventualmente esposte.

Ora, nella fattispecie in esame, è indiscussa l’identità degli elementi strutturali, come più sopra individuati, tra i due diversi momenti dell’imputazione, differendo il successivo atto di citazione solo per aver rinvenuto una voce di danno aggiuntiva, identica per titolo e per soggetti ad altra già contestata e costituita da un ulteriore importo delle spese legali rifuse dal Comune alla parte ricorrente dinanzi al Tribunale di Brescia.

Ciò senza voler considerare che l’ammontare del danno complessivamente imputato ai convenuti con l’atto di citazione risulta notevolmente inferiore a quanto originariamente previsto nell’invito a dedurre (26.083,74).

Pertanto, respinta l’eccezione formulata in sede difensiva, il danno risulta determinato nell’importo complessivo indicato dalla Procura regionale, per euro 10.569,71.

II. Circa il nesso causale, occorre richiamare brevemente l’iter decisionale che ha condotto il Comune di Adro, attraverso l’attività dei suoi amministratori, a subire il pregiudizio economico nei termini esposti in narrativa.

Il fatto illecito generatore dell’obbligazione risarcitoria può essere rinvenuto nella condotta, tenuta in violazione degli obblighi di servizio, dal sindaco e dagli altri componenti la Giunta.

In particolare, la pregiudizievole antigiuridicità delle scelte effettuate dagli amministratori emerge in due occasioni.

In primo luogo nella delibera n.93 del 3 giugno 2010 con la quale la Giunta comunale ed il sindaco, ravvisata la necessità di procedere all’approvvigionamento degli arredi del nuovo Istituto scolastico e, nello specifico, dei banchi destinati alla scuola primaria e secondaria, hanno autorizzato l’acquisto di tali arredi recanti sulla parte superiore il nome del comune di Adro e lo stemma “il sole delle Alpi” sulla “O” di Adro, secondo quanto espressamente previsto nelle schede recanti le caratteristiche e le qualità tecniche, predisposte dall’assessorato ai lavori pubblici ed allegate alla medesima delibera n.93.

All’acquisizione degli arredi scolastici così caratterizzati si è aggiunto, al momento dell’inaugurazione del nuovo polo scolastico, l’ulteriore inserimento del medesimo simbolo “sole delle alpi” sulle vetrate, sulle paline di indicazione e sul tetto dell’istituto – attività materiale compiuta la sera prima dell’inaugurazione da soggetti rimasti non identificati ma pacificamente ricondotta alle indicazioni del sindaco LANCINI , circostanza da questi mai contestata – per un totale di circa 700 decorazioni, così come riferito nella nota di doglianza rivolta, in data 11 settembre 2010, dal Direttore scolastico dell’istituto al sindaco stesso.

A tale vicenda è seguita, netta ed immediata, la reazione della comunità locale, di genitori di alunni iscritti all’istituto scolastico, di cittadini di Adro ed in particolare, per quel che qui interessa, dei lavoratori dipendenti dell’istituto che, per il tramite di un’organizzazione sindacale, hanno proposto ricorso ai sensi dell’art. 4 del D. Lgs. n. 216/2003, davanti il Giudice del lavoro di Brescia.

Avendo il Comune di Adro, nella persona degli odierni convenuti, con delibera n. 157 del 28.10.2010 deciso di resistere nel predetto giudizio, e conclusosi questo con la soccombenza dell’ente locale e la conseguente condanna al pagamento delle spese processuali, non vi è alcun dubbio che il fatto produttivo del danno erariale sofferto dal Comune di Adro debba essere direttamente imputato alla condotta degli odierni convenuti, nelle rispettive qualità di sindaco e di assessori che hanno espresso voto favorevole per l’approvazione delle richiamate deliberazioni n.. 93 e 157 del 2010.

III. Con riguardo alla valutazione dell’elemento psicologico si rendono necessarie alcune osservazioni finalizzate ad una corretta ricostruzione dei fatti di causa.

Sembra opportuno, innanzitutto, considerare le reazioni della comunità locale nell’immediatezza dell’inaugurazione.

In disparte l’immediata nota inviata il giorno stesso, 11 settembre 2010, dal Dirigente scolastico al sindaco LANCINI, per contestare la massiva presenza del simbolo “sole delle alpi ” all’interno dell’Istituto e per chiederne l’immediata rimozione, si rileva che già in data 17 settembre 2010, appena sei giorni dopo l’inaugurazione, un consistente gruppo di genitori, cittadini di Adro, ha interessato le più alte cariche istituzionali e le autorità locali affinché, di fronte a quello che è parso inconfutabilmente come l’impiego del simbolo distintivo di un partito politico, fosse garantito il diritto dei fanciulli iscritti all’Istituto scolastico di Adro ad un pieno sviluppo della personalità ed alla possibilità di crescere in un ambiente privo di condizionamenti politici e di poter maturare in piena autonomia e consapevolezza le proprie scelte personali, anche di orientamento politico.

Altrettanto nette sono state le reazione di enti ed associazioni portatori di interessi specifici nell’ambito della comunità locale.

Dopo l’ASAB (Associazione delle Scuole autonome bresciane), che ha espresso “preoccupazione , contrarietà e vicinanza solidale” per quanto verificatosi nell’Istituto di Brescia, invitando le autorità competenti ad intervenire per far rimuovere il simbolo del “sole delle Alpi”; l’assemblea dei lavoratori dell’Istituto comprensivo di Adro, il 14 settembre 2010 ha approvato un documento in cui si richiedeva la rimozione dei simboli al fine di poter continuare a svolgere il proprio compito educativo con imparziale professionalità, fino all’esito giudiziario della vicenda dinanzi al Tribunale di Brescia, già ampiamente descritto in narrativa.

Ora, tali manifestazioni di dissenso, immediate ed inequivoche, costituiscono, ad avviso di questo Collegio, la prova inconfutabile di come la comunità locale – considerata sia nella sua totalità che con riguardo ai gruppi portatori di interessi specifici – non attribuisse al simbolo in oggetto alcuna valenza di identità culturale ma solamente un significato di appartenenza politic, venendo a cadere, di conseguenza, la principale argomentazione svolta dalla difesa dei convenuti, fondata sull’appartenenza del simbolo in questione all’identità culturale del comune di Adro.

Segnali così forti e contrastanti, dunque, dovevano costituire per i rappresentanti dell’Amministrazione comunale un doveroso terreno di riflessione e di verifica circa l’effettiva rispondenza delle proprie scelte al comune sentire della collettività e ciò ancor prima che le diverse autorità, anche a livello centrale, si esprimessero per invitare gli organi competenti alla rimozione.

A fronte di tale palese contrarietà, invece, il sindaco e gli assessori, hanno pervicacemente mantenuto la loro posizione violando, in tal modo, i propri obblighi di servizio, ed in particolare l’onere di rappresentare l’intera collettività che li ha eletti ed il dovere di improntare il proprio comportamento all’imparzialità ed alla correttezza, valori che si intrecciano completandosi, atteso che un’amministrazione corretta è non solo quella imparziale nelle scelte compiute bensì quella che anche si mostri imparziale, affinchè l’intera comunità possa riconoscersi attraverso di essa nei suoi rappresentanti.

Soccorre, in tal senso, anche il parere del Ministero dell’interno espresso in data 13.06.2006, richiamato dall’assemblea dei lavoratori nel proprio esposto e condiviso da questo Collegio, nella parte in cui precisa: “il sindaco, quale capo dell’amministrazione comunale, rappresenta tutti i cittadini e non solo gli elettori appartenenti alla sua stessa compagine politica, ma anche quelli che hanno espresso una diversa preferenza. Ciò, nell’ambito dei segni distintivi, si traduce nell’esposizione unicamente dello stemma e del gonfalone, come ente esponenziale di una comunità e non di altri simboli fuorvianti dell’identità collettiva”.

Né vale a dimostrare il contrario, anzi avvalora quanto sinora rilevato, la circostanza, evidenziata dalla difesa, per cui l’amministrazione del Comune di Adro, avrebbe deliberato l’inserimento del simbolo “sole delle Alpi” nel gonfalone del Comune.

Tale iniziativa, successiva ai fatti di causa (cfr. Delibera Consiglio comunale 8 novembre 2010 n. 35) lungi dal dimostrare l’appartenenza “storica” del simbolo al patrimonio culturale della comunità adrense, appare piuttosto finalizzata a legittimare “a posteriori” una scelta che, all’epoca dei fatti, si era rivelata priva di ogni fondamento identitario.

Ma l’illegittimità della condotta dei convenuti e la grave negligenza nel valutarne gli effetti non si è fermata alla mancata riconsiderazione delle proprie scelte – doverosa alla luce della reazione della comunità e degli inviti delle istituzioni – ma è andata oltre.

Con un atteggiamento molto più vicino alla sfida che non alla difesa delle proprie ragioni, ragioni che, si ripete, dovevano essere valutate alla stregua non dei convincimenti personali ma della rispondenza al mandato di rappresentanza conferito dagli elettori, il sindaco e la Giunta, convenuti dinanzi al Giudice del lavoro a causa del loro persistente rifiuto a rimuovere il simbolo contestato, hanno deliberato di resistere in giudizio, esponendo l’ente locale al molto probabile danno patrimoniale di una soccombenza.

Di fondamentale importanza, ai fini del decidere, è l’esatta individuazione dell’oggetto del ricorso dinanzi al Tribunale di Brescia, da cui è derivato il danno contestato nell’odierno giudizio, e dei fatti a questo coevi.

All’atto del ricorso, infatti, notificato alle parti alla data del 20 ottobre 2010, si era già verificata ed era di palese evidenza la situazione di contrasto che il massiccio inserimento del simbolo aveva provocato.

A fronte delle reazioni innescate, tuttavia, l’Amministrazione comunale non solo non si induceva a rivalutare il proprio operato ma, anzi, assumeva un atteggiamento di evidente opposizione ad ogni intervento di rimozione, ponendo in essere così un clima polemico, concretizzatosi dapprima in una semplice inerzia – pur a fronte della richiesta in tal senso rivolta dal Dirigente scolastico con la nota dell’11 settembre 2010 – poi divenuto aperto contrasto con le istituzioni scolastiche, come palesato dall’atto di diffida rivolto dal sindaco allo stesso Dirigente scolastico al fine di scongiurare ogni rimozione del simbolo dagli arredi.

Intervenute, nel frattempo le autorità statali ad imporre la rimozione del simbolo ed il ripristino di un ambiente scolastico scevro da contaminazioni politiche o ideologiche, l’Amministrazione, nella persona del sindaco, pur affermandosi “disponibile a concordare la razionalizzazione della sua presenza al fine di rafforzarne il suo significato identitario” concludeva con il porre comunque a completo carico del Ministero per l’Istruzione ogni intervento in tal senso.

Pertanto, l’asserita disponibilità, prospettata anche dalla difesa come “apertura” alla soluzione della vicenda, in realtà continuava ad essere sintomatica di un atteggiamento oppositivo degli amministratori odierni convenuti, i quali si mostravano fermi nel voler porre a carico del Ministero dell’istruzione gli oneri economici di un eventuale intervento di ripristino degli arredi scolastici.

Ne è conseguito che l’ormai indifferibile rimozione veniva effettuata dal responsabile scolastico con una misura necessariamente parziale, vale a dire con una copertura dei simboli mediante un bollino adesivo di colore blu.

In tale contesto si è posto il ricorso al Giudice del lavoro, promosso dai lavoratori dipendenti del Polo scolastico per accertare il carattere discriminatorio dell’ambiente nel quale sarebbero stati costretti ad operare, caratterizzato dalla massiccia esposizione del simbolo partitico all’interno ed all’esterno dell’Istituto.

In proposito, evidenziava, infatti, l’Organizzazione sindacale che “la parziale copertura del simbolo partitico , mediante “bollini blu” adesivi, non può essere considerato atto risolutivo ai fini della rimozione degli effetti della condotta discriminatoria, avente carattere precario e, comunque, sintomatico della presenza del simbolo partitico”.

Detta considerazione è stata fatta propria dal Giudice del lavoro che, affermato il “carattere più propriamente partitico dell’uso del simbolo all’interno del complesso scolastico” e rilevato che “la copertura con adesivi non consentiva di ritenere rimossi e vanificati gli effetti della condotta discriminatoria ma anzi che tale intervento assumesse una valenza simbolica contraria reiterando e rendendo permanente la situazione di contrasto e di disagio che la presenza del simbolo ha determinato” ordinava, tra le altre misure, “la rimozione a spese del Comune di Adro del simbolo partitico e la ricollocazione delle suppletivi asportate prive del simbolo partitico a spese del Comune di Adro e sotto la vigilanza del Dirigente scolastico”, con condanna del Comune alle spese processuali.

Dunque, a ben vedere, il procedimento dinanzi al Giudice del lavoro, da cui ha avuto origine il danno patrimoniale contestato nell’odierno giudizio, verteva non tanto e non solo sul diritto all’esposizione del simbolo contestato, diritto ormai recessivo a fronte dell’avvenuta copertura con i bollini adesivi, quanto, piuttosto, sull’idoneità di tale forma di copertura a ripristinare un ambiente di lavoro idoneo e sull’individuazione del soggetto tenuto alla restitutio ad integrum.

.Per quanto sinora esposto, la determinazione assunta dal sindaco e dagli assessori con la delibera n. 157 del 28.10.2010 assume uno specifico significato.

La resistenza in giudizio, infatti, deliberata quando già il Dirigente scolastico aveva provveduto a rimuovere tutte le effigi presenti nell’Istituto scolastico, ad eccezione di quella sul tetto ed a coprire con bollini adesivi i simboli inseriti sui banchi, non tendeva tanto alla prospettazione giudiziale delle proprie ragioni e, quindi, all’esercizio del diritto consacrato negli artt. 24 e 113 della Costituzione, come sostenuto dai difensori degli odierni convenuti, quanto, piuttosto – in un atteggiamento di sostanziale continuità polemica – a sottrarsi agli obblighi di un’eventuale rimozione, come dimostrato dalla strategia difensiva adoperata e consistente nel sollevare, in via preliminare, il proprio difetto di legittimazione passiva per difetto di titolarità del rapporto lavorativo in ragione del quale veniva invocata la tutela antidiscriminatoria.

Ricostruite nei predetti termini le vicende, ne deriva che la determinazione di cui alla delibera n.157, di resistere nel giudizio davanti al Giudice del lavoro, appare a questo Collegio assunta in violazione di un ulteriore obbligo di servizio, incombente su coloro che amministrano pubblico denaro: quello di rispettare il principio di economicità dell’azione, vale a dire l’obbligo di un costante raffronto tra mezzi e risorse impiegate, in una parola tra “costi” dell’azione amministrativa e risultati che si intendono raggiungere.

Di conseguenza l’incidenza sulle casse del comune di una resistenza in giudizio – neanche minimamente ponderata, sotto il profilo economico, da parte degli odierni convenuti – avrebbe, invece, dovuto essere valutata ponendo in relazione il rischio di una possibile soccombenza, resa probabile a seguito dell’ordinanza monocratica del 29 novembre 2010, e l’utilità che si intendeva ricavare dalla resistenza in giudizio che, nella fattispecie concreta, si risolveva nel sottrarsi agli obblighi di rimuovere il simbolo contestato o, comunque, nel vedere affermato – nel caso in cui il giudice ne avesse esclusa la potenzialità discriminatoria – il diritto a mantenere l’esposizione nel nuovo Istituto scolastico di un simbolo che la comunità locale aveva già espressamente mostrato di non riconoscere come appartenente alla propria identità culturale ma, anzi, di ascrivere all’immagine di un preciso partito politico.

In tal senso non appaiono rilevanti le prove addotte dalla difesa circa la presenza del simbolo in diversi siti architettonici del contesto cittadino, in quanto ciò che qui interessa non è la presenza, indiscussa, di tale simbolo prima e indipendentemente dal fatto che esso, nella particolare forma stilizzata, venisse ricompreso nello stemma di un determinato partito, quanto, invece, la valenza che il simbolo risultava avere, anche alla luce dell’oggettivo collegamento partitico, nella sensibilità dell’intera comunità cittadina.

Ed i segnali di dissenso, forti ed immediati, provenienti dalla collettività sono stati ignorati, anzi avversati da coloro che di quella comunità avevano, per mandato elettorale, la rappresentanza.

Per quanto sin qui esposto, esclusa, comunque, l’intenzionalità di arrecare un pregiudizio economico al Comune di Adro e ravvisata, piuttosto, una grave negligenza nell’osservanza degli obblighi di servizio derivanti dall’esercizio delle rispettive funzioni e nella valutazione degli effetti delle proprie azioni, questo Collegio ritiene che la condotta ascritta agli odierni convenuti, in relazione ai fatti dedotti in giudizio, si caratterizzi per l’elemento psicologico della colpa grave.

Pertanto, la predetta somma di euro 10.569,71, costituita dalle somme erogate per le spese legali dell’ente, costituisce danno patrimoniale da ascrivere ai convenuti in ragione del differente apporto causale di ciascuno di essi.

Per quanto attiene, invece, all’importo di euro 53,02, relativo alla rimozione del simbolo dal tetto dell’edificio, il Collegio rileva che , pur essendo indicato nell’atto di citazione (cfr. pag.21), non risulta compreso nell’importo complessivo del danno ascritto agli odierni convenuti.

Detta ripartizione, in adesione a quanto richiesto dalla Procura attrice, può essere così determinata: in percentuale del 70%, pari ad euro 7.398,79, al sindaco LANCINI e per il 30%, pari ad euro 3.170,92 in parti eguali ai restanti assessori, per un importo di euro 528,48 ciascuno.

Alla sorte capitale vanno aggiunti la rivalutazione monetaria sulla base degli indici ISTAT relativi all’aumento del costo della vita per le famiglie di operai e impiegati (la cui decorrenza in via equitativa va individuata nella data dell’ultimo pagamento effettuato dal Comune di Adro, costituito dal mandato di pagamento n. 1941 del 25.10.2011, eseguito il 02.11.2011, in favore dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Brescia) e gli interessi legali, da applicare sulla somma rivalutata, a decorrere dalla data di deposito della presente sentenza e sino al pagamento.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Lombardia, definitivamente pronunciando

CONDANNA

– LANCINI Danilo Oscar al pagamento, in favore del Comune di Adro, della somma di euro 7.398,79 (diconsi euro settemila trecentonovantotto/79), oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali, da calcolare con le modalità indicate in parte motiva;

– ANTONELLI Lorenzo; FRUSCA Giovanna; GALLI Patrizia; MARCHETTI Ivana; FALCONI Maria Teresa e ROSA Paolo al pagamento, in favore del Comune di Adro della somma di euro 528,48 (diconsi euro cinquecentoventotto/48) ciascuno oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali, da calcolare con le modalità indicate in parte motiva.

Condanna LANCINI Danilo Oscar; ANTONELLI Lorenzo; FRUSCA Giovanna; GALLI Patrizia; MARCHETTI Ivana; FALCONI Maria Teresa e ROSA Paolo al pagamento, in favore dello Stato, delle spese del giudizio, che sino alla presente sentenza si liquidano in euro 1.894,90 ( milleottocentonovantaquattro/90 )

Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del 20 marzo 2013.

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

(Giuseppina VECCIA) (Claudio GALTIERI)

Depositata in Segreteria il 18/09/2013
 

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