Un solo comitato d’affari unisce Expo a Mafia Capitale

luglio 3, 2015
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mail(Lorenzo Bagnoli, Lorenzo Bodrero e Luca Rinaldi (da wired)

Da Expo a Mafia Capitale c’è un solo uomo, Carmine Parabita, che compare in tutte le inchieste e rivela un sistema di malaffare ben organizzato. Lo dimostra un leak ricevuto da Irpi e Wired grazie alla piattaforma Expoleaks.

Dall’inchiesta di Expo a Mafia Capitale, c’è un uomo che è sempre della partita. È Carmelo Parabita, detto Carmine, sempre presente nel gruppo di affaristi pronti a mettere le mani sulla torta degli appalti: che sia l’esposizione universale o l’accoglienza profughi a Roma. Classe ‘74, tarantino, Parabita è membro del Cda della cooperativa La Cascina, leader italiana del settore “ristorazione collettiva” e della cooperativa sociale Domus Caritatis, che si occupa di accoglienza profughi. Il suo territorio di conquista era l’Italia intera, prima che l’operazione Mondo di mezzo 1 e 2 svelasse i suoi legami con i padrini di Roma. Non poteva rimanere fuori dalle sue mire anche l’Expo di Milano. Ora ci sono le prove e lo rivelano in esclusiva Wired e il centro di giornalismo di inchiesta IRPI.

Carmine.parabita@lacascina.it. La casella di posta spunta tra i destinatari di una e-mail che ha come oggetto “Città della salute e della Ricerca – Sesto San Giovanni”. È destinata a dieci aziende della Cupola degli appalti di Expo. La mail è stata inviata in esclusiva a Expoleaks, il progetto di IRPI e Wired per ricevere segnalazioni anonime sull’esposizione universale. La mail è entrata anche in una delle informative della Guardia di Finanza nell’ambito delle indagini sulla cosiddetta “cupola” degli appalti Expo.

Caccia al mega-ospedale. Ciò che però fino ad ora non ha destato l’attenzione degli inquirenti è proprio la lista dei destinatari, di cui Expolekas è venuta in possesso. Nell’elenco figurano appunto alcuni dipendenti de La Cascina tra cui lo stesso Parabita. In allegato c’è la scrittura privata per costituire un’Associazione temporanea d’impresa e prendersi l’appalto per la Città della Salute e della Ricerca a Sesto San Giovanni, una gara da 450 milioni di euro, il più grosso appalto pubblico europea. Era l’aprile del 2013. Spiccano due nomi nell’elenco: Maltauro e Manutencoop. Tra i destinatari della mail figura inoltre l’indirizzo primogr@***, appartenente verosimilmente a Primo Greganti, storico esponente del PCI arrestato durante Mani Pulite nel 1993 nonché nell’ambito della prima grande inchiesta sull’Expo di Milano nel maggio 2014.

La mail e la sua lista dei destinatari riletta alla luce delle risultanze dell’indagine su Mafia Capitale è particolarmente importante perché evidenzia come il “sistema” si stesse muovendo di concerto su una fetta considerevole di appalti da nord a sud del Paese. Il gruppo La Cascina, almeno formalmente, nessun interesse avrebbe avuto nella gara oggetto dell’Associazione Temporanea di Imprese e nel mega ospeale da realizzare, eppure alcuni dei suoi componenti del Consiglio di amministrazione venivano messi a conoscenza delle condizioni dell’ATI stessa. Tra questi c’è appunto Carmine Parabita, finito ai domiciliari nell’ambito dell’indagine bis della procura di Roma su Mafia Capitale. Gli uomini del “sistema” sono sempre gli stessi.

Del progetto Città della Salute a Sesto San Giovanni si comincia a parlare nel luglio 2012, quando la Regione Lombardia con una delibera di Giunta destina il terreno che fu delle acciaierie Falck a polo medico e di ricerca. Al progetto partecipano anche i Comuni di Milano e di Sesto San Giovanni.

Maggio 2014. Il bando stava arrivando ad assegnazione quando scoppia il terremoto che scuote i vertici di Expo. L’ex-patron della Maltauro spa Enrico finisce in manette insieme all’ex-direttore Pianificazione e Acquisti di Expo 2015 Spa, Angelo Paris, Primo Greganti e Gianstefano Frigerio (già protagonisti dell’inchiesta Mani Pulite) e altri, tra cui l’ex parlamentare di Forza Italia Luigi Grillo. L’azienda vicentina, vero e proprio colosso nazionale nel settore delle costruzioni, ha in gestione gli appalti per le Vie d’acqua e l’Architettura di servizi dell’Expo.

È la Maltauro a farsi capofila e a chiamare a raccolta altre nove società per dare la caccia al mega appalto per l’ospedale di Sesto San Giovanni. “Direi questo è molto positivo… molto positivo il fatto di avere questa… questa squadra…”, diceva Enrico Maltauro a Gianstefano Frigerio in una conversazione intercettata dagli inquirenti. Era certo di vincere, il patron dell’azienda leader nelle costruzioni. Ma i magistrati sono intervenuti prima.

Il “sistema” da Nord a Sud. Carmine Parabita è personaggio tutt’altro che marginale nell’inchiesta bis su Mafia Capitale, il filone d’inchiesta dove compare anche il suo nome. Questa volta il suo interesse è rivolto al business dell’accoglienza. Le accuse che vengono rivolte agli arrestati de La Cascina, Domenico Cammisa, Carmelo Parabita , Francesco Ferrara e Salvatore Menolascina riguardano l’assegnazione delle forniture e dei servizi relativi al centro di accoglienza per richiedenti asilo più grande d’Europa, il C.A.R.A. di Mineo in provincia di Catania.

Nelle carte romane il nome di Parabita ricorre spesso in particolare per quanto riguarda le partite in cui è coinvolta La Cascina nell’affaire dei campi profughi. È presente (insieme a Domenico Cammisa, amministratore delegato della Cooperativa di Lavoro La Cascina) quando Luca Odevaine, già vice capo di gabinetto con Walter Veltroni, poi capo della polizia provinciale con Nicola Zingaretti e ora al Coordinamento nazionale sull’accoglienza per i richiedenti asilo del ministero dell’Interno, tira in ballo sulla questione della gara del C.A.R.A. di Mineo il sottosegretario del ministero delle politiche agricole Giuseppe Castiglione.

I pm romani hanno pochi dubbi: le turbative si sarebbero consumate tramite “collusioni preventive, consistenti in accordi finalizzati alla predeterminazione dei soggetti economici che si sarebbero aggiudicati le gare; condotte fraudolente, consistenti – si legge nelle carte – nel concordare i contenuti dei bandi di gara in modo da favorire il raggruppamento di imprese al quale partecipavano imprese del gruppo La Cascina”.

Parabita e Odevaine si vedono e si sentono spesso, oltre a informarsi passo passo su cosa si muove nella partita dell’accoglienza dei migranti. Un rapporto stretto, forse troppo: “gli esponenti del gruppo La Cascina (Commissa, Ferrara, Menolascina e Parabita) – scrivono gli inquirenti – avevano promesso a Luca Odevaine una retribuzione fissa mensile, concordata prima in 10mila euro al mese e poi aumentata a 20mila euro e commisurata al numero di immigrati ospitati dai centri gestiti dal gruppo La Cascina, come prezzo per lo stabile asservimento della sua funzione di pubblico ufficiale componente del Tavolo di Coordinamento sull’immigrazione istituito presso il Ministero degli Interni e quale prezzo per il compimento di atti contrari ai doveri d’ufficio come componente delle commissioni di aggiudicazione delle gare indette per la gestione dei servizi presso il C.A.R.A. di Mineo”.

Più di una consegna di quel denaro dalle mani di Parabita a quelle di Odevaine è pure finita agli atti con tanto di ripresa video. Denari poi investiti, annotano gli investigatori, “in particolare in Venezuela”. Circostanza che ha perfino scatenato la curiosità del ras della Cooperativa 29 giugno, Salvatore Buzzi: «Scusa perché se tu sei stipendiato dal Comune e pigli 3.000 euro al mese come fai ad averci un impero in Venezuela?…omissis… scusa ma c’ha mezzo Venezuela! come se l’è fatto? col risparmio dello stipendio?».

La torta delle grandi opere. Intanto lo scorso aprile l’appalto per la costruzione de La Città della Salute è stato assegnato all’impresa Società Italiana per Condotte d’Acqua Spa, mandataria in una Ati insieme a Inso Sistemi per le Infrastrutture sociali, Italiana Costruzioni e Prima Vera. Un risultato che suona come una pesante sconfitta per le altre imprese in corsa: Maltauro, Pizzarotti, Consorzio cooperative costruzioni, Salini-Impregilo, Consorzio stabile Sis e Mantovani, quest’ultima coinvolta nell’inchiesta della procura di Venezia sul Mose e vincitrice del contratto più grosso di Expo, quello della piastra espositiva.

Le tangenti circolate all’interno del Consorzio Venezia Nuova, la società vincitrice dell’appalto Mose, hanno spinto il presidente dell’Anac Raffaele Cantone ad ottobre 2014 a chiederne (ed ottenerne) il commissariamento. Il re è nudo: che esistesse un sistema che da Nord a Sud aveva in mano tutti gli appalti più sostanziosi d’Italia è ormai sotto gli occhi di tutti. E ora si cercano contromisure per evitare che a vincere siano sempre i soliti: qualunque inchiesta li travolga, finora si sono sempre rialzati.

cc
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