I giudici accusano: l’Italia è uno Stato biscazziere

marzo 14, 2014
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Il Tar di Milano sospende l’ordine del Comune di chiudere una sala scommesse: “Oggi il legislatore favorisce il gioco d’azzardo per aumentare le entrate fiscali”

La riffa di Stato ha l’età dello Stato. Che piaccia o meno, fanno centocinquant’anni di Paese biscazziere. Anno 1861, nasce l’Italia Unita.

Anno 1863, nasce il Lotto. È lo stesso Paese che oggi scopre la parola «ludopatia», che invita rapidamente gli italiani a «giocare con moderazione» mentre pubblicizza la nuova droga, ma che se c’è da grattare e vincere – perché il banco vince sempre – non si tira indietro. Allo Stato servono soldi. E niente è come le mille lotterie dello Stivale. Chi non vorrebbe vivere da «turista per sempre»? E allora qualcosa non torna nelle barricate delle amministrazioni contro le sale scommesse che aprono nelle nostre città. Una battaglia che i sindaci fanno a colpi di ordinanze: troppo vicina a una scuola, a un centro anziani, a un ospedale. Così si prova ad arginare la marea, eppure basta un ricorso al Tar per svelare la doppia morale. È successo a Milano, ma il messaggio arriva forte e chiaro su tutto il territorio nazionale. Lo Stato ha un dovere di dissuasione dal gioco d’azzardo? Macché. Lo Stato ci campa, col gioco d’azzardo. Fatevene una ragione.
«Il legislatore italiano – scrivono i giudici del tribunale amministrativo nell’ordinanza depositata ieri e che sospende l’atto con cui il Comune di Milano aveva chiuso il centro scommesse aperto dalla Univest spa in corso Vercelli – ha in realtà adottato da tempo una politica espansiva nel settore dei giochi d’azzardo allo scopo di incrementare le entrate fiscali». E fin qui, l’evidenza. Ma a fare impressione è lo sterminato elenco dei giochi che il croupier di Stato ha partorito da 150 anni a questa parte per fare cassa, e che i magistrati amministrativi inseriscono nel documento senza eccezione alcuna. Come a dire: smettiamo di raccontarci favole. La dipendenza da gioco esiste, ma al gioco non si può rinunciare perché è una voce essenziale nel bilancio della Repubblica. Punto.
«Questa situazione – si legge nell’ordinanza del Tar – è evidente anche dal semplice riepilogo delle principali forme di gioco previste dalla normativa nazionale con i rispettivi anni di attivazione». Ed eccolo, il lungo elenco di sogni infranti. Sono nomi esotici, inviti al successo, allucinazioni da estrazione, ossessioni da botta di culo. Gioca facile, Prendi tutto, Il tesoro del faraone, Spiaggia d’oro, Magico Natale, Quadrifoglio d’oro, 10 e lotto, Sbanca tutto, Una barca di soldi, Vivere alla grande, Tanti auguri. Ecco appunto, tanti auguri. Perché si tratta di vincite statisticamente (quasi) impossibili – è assai più probabile essere colpiti da un asteroide che fare sei al supernaleotto -, ma dietro alle quali stanno senza sosta milioni di italiani come cani alla catena. Inizia tutto con il lotto, anno del Signore 1863. Poi è un diluvio. Lotterie nazionali (1932), scommesse ippiche (1942), totocalcio (1946), totip (1948) e tris (1958), che viene un po’ di nostalgia per la semplicità dell’uno-x-due. Nel 1994 arrivano il totogol e soprattutto lotterie istantanee gratta e vinci. C’è il miraggio del superenalotto (1997), le scommesse sportive (1998), il bingo (2000), big match (2004), e infine gli apparecchi e videoterminali di gioco (2004).
Fatti due conti, si tratta di 75 concorsi da quando è nata l’Italia. E così fa quasi tenerezza che qualche sindaco provi a chiudere una sala scommesse per tutelare il decoro di un quartiere e la salute dei suoi residenti. Il Comune di Milano, ad esempio, ha annunciato farà ricorso al Consiglio di Stato per avere la meglio sulla società che gestisce la sala giochi di corso Vercelli. Ma in fondo cosa importa, se solo nei primi due mesi del 2014 lo Stato ha messo in commercio Botta di fortuna, Turista per 10 anni, Super portafortuna, Mega doppia sfida. Quattro concorsi in due mesi e mezzo. E, ne siamo certi, altri ne arriveranno. Scommettiamo?

Ordinanza-Tar-Milano

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