Matteo Renzi e Ignazio Marino, sindaco vs sindaco. Dietro il Salva Roma, le privatizzazioni…

febbraio 28, 2014
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Matteo Renzi e Ignazio Marino: gli archivi fotografici di agenzia se li ricordano ancora fermi alle istantanee del 4 settembre, quando il sindaco di Firenze ‘scese’ a Roma per celebrare con il primo cittadino della capitale la pedonalizzazione dei Fori Imperiali. Era l’inizio della campagna elettorale di Renzi per le primarie. Ma da allora ne sembra passata di acqua sotto i ponti del rapporto tra i due, fino alla “energica telefonata” di stamattina, quando il sindaco di Roma ha battibeccato abbastanza con il presidente del Consiglio sulla storia del decreto ‘Salva Roma’, che Palazzo Chigi ha lasciato decadere riservandosi di sostituirlo con un altro provvedimento. Marino è arrabbiato per il rischio default del Comune, toni sopra le righe, Palazzo Chigi lascia trapelare molta irritazione. Il punto è che Renzi non lascerebbe mai fallire il Campidoglio, perché la cosa sarebbe un fallimento anche per lui da premier. E questo lo sa anche Marino, conferma chi lo conosce bene. E allora perché questa piazzata anti-Renzi? Perché non l’ha mai fatta con Letta? Perché ora Marino arriva a minacciare di “bloccare Roma”? La storia ha a che fare anche con la nascita del Renzi 1 e la privatizzazione dei servizi pubblici della capitale.

Alla Camera raccontano che è dai tempi delle primarie del Pd che il rapporto tra Renzi e Marino si è logorato, ammesso che in passato sia stato davvero solido. Più che per volontà di Renzi, per azione dei renziani della capitale, vale a dire le aree legate a Paolo Gentiloni, Francesco Rutelli. Subito dopo l’Immacolata, il sindaco della capitale si è visto subito sotto attacco da parte della cerchia romana del Pd politicamente legata a Renzi. Per esempio, ancora se la ricorda un’intervista di Gentiloni, sconfitto alle primarie da sindaco, che chiedeva il rimpasto in Campidoglio, proprio subito dopo l’elezione di Renzi alla segreteria. Richieste di rimpasto e giri di nomine, alcune fatte, altre da fare. Goccia dopo goccia, il vaso è traboccato oggi, producendo il corto circuito tra un ex sindaco, alfiere del partito dei sindaci, e un sindaco, proprio nei primi giorni di insediamento di Renzi a Palazzo Chigi. Ma c’è dell’altro.

Il governo ha deciso di lasciar decadere il Salva Roma per evitare ciò che altrimenti sarebbe stato inevitabile. E cioè per evitare di porre la questione di fiducia sul provvedimento in scadenza il 28 febbraio e ostacolato dall’ostruzionismo dei cinque stelle. Non sarebbe stata una bella partenza per Renzi, oltre al fatto che l’esecutivo avrebbe dovuto mettere la fiducia su un decreto non suo, ma partorito dal governo Letta. Così proprio non poteva andare. Per cui niente Salva Roma, i 450 milioni di euro per Roma arriveranno da un altro provvedimento, probabilmente un altro decreto. Però in Campidoglio sospettano che il Salva Roma sia ‘morto’ anche per un altro motivo. E cioè per via di un accordo tra Renzi e Scelta Civica, partito che ha favorito l’ascesa del presidente del Consiglio a Palazzo Chigi e che da tempo sta conducendo un’accanita battaglia sul Salva Roma, affinché venga modificato in maniera tale da favorire il maggior numero possibile di privatizzazioni dei servizi pubblici. Battaglia condotta in prima persona dalla senatrice di Sc Linda Lanzillotta, autrice del cosiddetto emendamento ‘Svendi Roma’.

Veleni che magari non hanno logorato definitivamente il rapporto tra Renzi e Marino: il sindaco con una nota ha poi smentito la versione di Palazzo Chigi parlando di “colloqui sereni” e “fiducia in Renzi”. Ma sono veleni che si intrecciano a importanti partite economiche, quelle che legano gli aiuti finanziari al comune di Roma alla privatizzazione dei servizi. Ed è questa la vera grana di Renzi premier, al di là della brusca telefonata con il sindaco della capitale. E’ qui che il presidente del Consiglio deve scegliere: non se mettere la fiducia o meno, ma piuttosto cosa mettere nel Salva Roma accanto ai soldi necessari per evitare il fallimento del comune.

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