Segnalazione dell’Autorità garante della concorrenza sulla gestione dei rifiuti urbani

gennaio 3, 2014
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AS1073 – REGIONE LAZIO – GESTIONE DEI RIFIUTI URBANI

Roma, 4 settembre 2013

Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Presidente della Regione Lazio Sindaco del Comune di Roma Commissario delegato per l’emergenza ambientale nel territorio di Roma e provincia

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito, Autorità), nella sua adunanza del 31 luglio 2013, intende formulare, ai sensi dell’articolo 22, della legge n. 287/90, alcune considerazioni in merito a delle criticità di ordine concorrenziale ascrivibili all’assetto di regolazione in materia di rifiuti definito dalla Regione Lazio. Si tratta di criticità idonee a generare delle inefficienze nell’ambito del sistema di gestione dei rifiuti urbani che si riflettono sia sullo sviluppo di filiere concorrenziali nelle fasi del recupero e della valorizzazione dei rifiuti sia, in ultima analisi, sugli oneri per il servizio posti a carico dei cittadini.

Il sistema di gestione dei rifiuti urbani nel Lazio

Alcune stime relative al 2011, che pongono a confronto i costi per il servizio di igiene urbana sostenuti nelle diverse Regioni, indicano nel Lazio la spesa annua per le utenze non domestiche in assoluto più elevata, e con riferimento alle

utenze domestiche, di gran lunga superiore alla media italiana1. A fronte di ciò, lo sviluppo della raccolta differenziata nel Lazio è largamente insoddisfacente; nel 2012, la percentuale di rifiuti urbani interessati dal recupero di materia è stata nel Lazio soltanto del 22,1%, ampiamente inferiore ad un dato medio nazionale pari a circa il 40%, nonché ad una soglia minima che si sarebbe dovuta raggiungere entro il 31 dicembre 2012, prevista dall’articolo 205 del Decreto Legislativo n. 152/06 e s.m.i., del 65%. Lo scarso sviluppo della raccolta differenziata, a fronte della considerevole produzione di rifiuti urbani, inferiore in valore assoluto soltanto a quella della Lombardia, avrebbe potuto lasciare spazio nel Lazio quanto meno a modalità di gestione dei rifiuti urbani indifferenziati in grado di consentire lo sviluppo di mercati a valle indirizzati al recupero di energia, valorizzando la produzione di combustibile da rifiuti (“CDR”) – ora qualificato come combustibile solido

secondario (“CSS”)2 -proveniente dalla significativa dotazione di impianti per il trattamento meccanico biologico esistenti a livello regionale. Nel 2012, viceversa, è emerso che tali impianti hanno trattato un quantitativo di rifiuti urbani indifferenziati inferiore alla capacità massima autorizzata, con tassi di recupero del CDR/CSS al di sotto, nella maggior parte dei casi, degli

standard di funzionamento previsti3. Per far fronte al sottoutilizzo degli impianti di trattamento meccanico-biologico della Regione Lazio, è intervenuto anche il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, che con il decreto 25 marzo 2013 ha imposto l’obbligo di raggiungere un livello minimo di produzione di CDR/CSS di tali impianti compreso tra il 35% ed il 40%.

1 [Cfr. “Green Book 2012: Aspetti economici della gestione dei rifiuti urbani in Italia”, Utilitatis e Federambiente, figure 30 e 31 per quanto riguarda la graduatoria regionale della spesa media delle famiglie, e tabella 48 relativamente alla spesa annua delle utenze non domestiche per regione.]

2 [Il CDR è stato definito dall’art. 183 del Decreto Legislativo n. 152/06 come “combustibile ottenuto da rifiuti urbani e speciali non pericolosi mediante opportuni trattamenti e classificabile come tale sulla base della Norma UNI 9903”. Il Decreto Legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, che ha recepito la Direttiva 2008/98/CE, ha previsto una nuova e unica definizione in luogo del CDR, il “Combustibile Solido Secondario” (CSS), combustibile solido prodotto da rifiuti che rispetta le caratteristiche di classificazione e di specificazione individuate dalle norme tecniche UNI CEN/TS 15359 e successive modifiche ed integrazioni. Il CDR/CSS è ottenuto tramite processi di trattamento meccanico-biologico (TMB) sia di rifiuti urbani che di rifiuti speciali non pericolosi.]

3 [Cfr. Decreto del Commissario Delegato per l’emergenza ambientale nel territorio della Regione Lazio n. 15 del 15 marzo 2005, avente ad oggetto “Approvazione metodologia di calcolo delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti urbani della Regione Lazio”.]

Rileva anche osservare che se gli impianti di trattamento meccanico biologico regionali funzionassero a pieno regime, ipotizzando una percentuale di raccolta differenziata non dissimile dai livelli attuali, la capacità di lavorazione del

CDR/CSS da parte dei termovalorizzatori del Lazio risulterebbe, al momento, insufficiente4. I termovalorizzatori della Regione Lazio, tra l’altro, sono autorizzati a bruciare soltanto CDR/CSS, a differenza della maggioranza degli inceneritori localizzati in altre Regioni che bruciano anche, e prevalentemente, rifiuti urbani

indifferenziati5. Nel complesso, tale situazione ha comportato, nel Lazio, ad un ricorso eccessivo allo smaltimento in discarica la quale,

secondo l’ISPRA, è risultata la destinazione finale del 71% dei rifiuti urbani6. L’assetto del settore regionale si caratterizza inoltre per la presenza di un numero molto limitato di operatori, quasi esclusivamente integrati in diverse fasi della filiera (raccolta, trattamento meccanico-biologico, termovalorizzazione, smaltimento in discarica). In particolare, si registra la presenza di due gruppi integrati molto forti: uno privato (il gruppo Cerroni), integrato in quasi tutte le fasi della filiera, ed uno partecipato dal Comune di Roma, AMA S.p.A. (di seguito, AMA), monopolista nella raccolta e nel trasporto dei rifiuti urbani nel territorio del comune di Roma, attualmente attivo nella fase di trattamento meccanico-biologico, nonché in futuro anche in quella della termovalorizzazione, se entrerà in funzione il gassificatore di Albano Laziale.

La gestione della filiera del CDR/CSS e dello smaltimento in discarica nella Regione Lazio

Lo smaltimento in discarica dei rifiuti indifferenziati, nonché il loro conferimento in impianti di trattamento meccanico- biologico, avviene dietro pagamento, da parte dei Comuni conferitori, di una tariffa definita dalla Regione, sulla base della dichiarazione dei costi (a preventivo e a consuntivo) presentata dalla società che gestisce l’impianto. Viceversa, le condizioni economiche dei termovalorizzatori laziali per il ritiro del CDR/CSS prodotto sono definite autonomamente dai gestori degli impianti.

A fronte di tale assetto regolatorio, che impone una tariffa solo ad una parte degli impianti della filiera del recupero energetico, quelli finalizzati al trattamento dei rifiuti indifferenziati per la produzione di CDR/CSS, sussistono tuttavia alcune eccezioni. Infatti, si è potuto verificare che non esistono determinazioni tariffarie regionali relative agli impianti di trattamento meccanico-biologico di proprietà di AMA.

Per quanto riguarda l’attività di smaltimento in discarica, la Regione, oltre a definire per ciascun impianto di

smaltimento la tariffa di conferimento dei rifiuti indifferenziati da parte dei Comuni, ha introdotto7 la cd “ecotassa”, prevista esclusivamente per il deposito dei rifiuti in discarica, e finalizzata a disincentivare il ricorso allo smaltimento dei rifiuti con tale modalità. Al riguardo, rileva osservare che il valore dell’ecotassa per lo smaltimento dei rifiuti urbani indifferenziati, attualmente fissata dalla Regione Lazio, pari a 15,5 €/ton, risulta essere più bassa rispetto ad altre realtà regionali, e comunque inferiore alla soglia massima pari a 25,8 €/ton, originariamente individuata dalla legge 28 dicembre 1995, n. 549, che ha introdotto tale tributo.

Le distorsioni concorrenziali generate dal sistema di gestione dei rifiuti nel Lazio

La regolamentazione della Regione Lazio in tema di rifiuti presenta rilevanti criticità di ordine concorrenziale che non hanno finora consentito lo sviluppo di un sistema di gestione dei rifiuti efficiente e finalizzato alla creazione di filiere concorrenti nelle fasi a valle della raccolta e alla minimizzazione dei costi a carico dei cittadini. I vari sistemi di gestione dei rifiuti solidi urbani (recupero di materia attraverso la differenziata, recupero di energia dalla raccolta indifferenziata, smaltimento in discarica) offrono infatti ai gestori della raccolta delle alternative che questi ultimi scelgono in base alla loro convenienza relativa. In tal modo, la concorrenza tra questi sistemi può stimolare l’efficienza e la economicità nella loro conduzione. La Direttiva 2008/98/CE e il Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n.152, e s.m.i., individuano tuttavia una gerarchia del trattamento dei rifiuti che attribuisce, ai fini del perseguimento degli obiettivi di tutela ambientale, una priorità, tra i tre sistemi, al recupero di materia, ed individua, quale soluzione meno desiderabile, lo smaltimento in discarica. Eventuali alterazioni della concorrenza tra i tre sistemi operate dal regolatore possono quindi essere giustificate solo se sono coerenti con tale gerarchia dei rifiuti. Va ad ogni modo osservato che l’ordinamento tra i suddetti sistemi di gestione individuato dal Legislatore per obiettivi di tutela ambientale vale anche sotto il profilo concorrenziale. Il recupero di materia a seguito della raccolta differenziata, infatti, è da preferirsi in una ottica pro-concorrenziale anche perché è in grado di attivare numerose filiere a valle, consentendo l’espansione di altrettanti mercati e l’ingresso di operatori che altrimenti rimarrebbero esclusi. Il recupero di energia, invece, è in grado di attivare un’unica filiera, quella appunto della produzione di energia (e/o calore),

4 [Il che, in altri termini, significa che l’attuale capacità di termovalorizzazione nel Lazio è sufficiente solo nell’ipotesi di una forte spinta all’aumento della raccolta differenziata.]

5 [Sul punto rileva osservare che in Regioni, come le Lombardia e l’Emilia Romagna, dove la quantità prodotta di rifiuti urbani è più vicina a quella del Lazio e la raccolta differenziata è più elevata, superiore al 50%, i termovalorizzatori sono numerosi ed hanno una capacità autorizzata prossima o addirittura superiore a quella della Regione Lazio.]

6 [Cfr. “Rapporto Rifiuti Urbani. Edizione 2013”, ISPRA, p. 178.] 7 [Cfr. legge regionale 10 settembre 1998, n.42, in attuazione dell’art. 3, commi 24-40, della legge 28 dicembre 1995, n. 549.]

mentre lo smaltimento in discarica non dà luogo ad alcun effetto a valle e non consente alcun tipo di valorizzazione economica del rifiuto (si tratta dunque di un costo sociale sia sotto il profilo ambientale sia sotto quello economico). In questo quadro, la scelta di favorire, negli anni, il ricorso allo smaltimento in discarica rispetto ad interventi di recupero di materia dalla raccolta differenziata e di energia dai rifiuti indifferenziati, ha ostacolato il raggiungimento di un assetto integrato di gestione dei rifiuti urbani efficiente, nel quale le diverse modalità di gestione venissero poste, laddove possibile, in concorrenza tra loro. In particolare, l’attività di termovalorizzazione non ha svolto nel Lazio quel proficuo ruolo di vincolo concorrenziale all’attività di smaltimento in discarica che è stato invece riscontrato in altre Regioni italiane.

Sotto tale prospettiva, infatti, vanno valutati alcuni interventi di pianificazione della Regione Lazio, tra cui la definizione di un livello di ecotassa che, con ogni probabilità, non ha disincentivato in maniera adeguata i Comuni a smaltire in discarica i rifiuti indifferenziati prodotti. Analogamente, la presenza di termovalorizzatori che non sono stati autorizzati ad incenerire direttamente i rifiuti urbani indifferenziati tal quale bensì soltanto il CDR/CSS, a differenza della maggior parte dei termovalorizzatori dislocati in altre regioni, non ha consentito lo sviluppo di un sistema di gestione dei rifiuti urbani indifferenziati diretto concorrente allo smaltimento in discarica.

Sotto questo profilo, rileva anche osservare il fatto che dei tre termovalorizzatori autorizzati presenti sul territorio regionale, uno di essi, il gassificatore di Malagrotta, risulta essere sostanzialmente inattivo. Inoltre, la capacità di produzione del CDR/CSS presente nel Lazio, superiore alla media nazionale, appare essere stata idonea a scoraggiare il ricorso alla raccolta differenziata. Al tempo stesso, tale capacità risulta ad oggi sovradimensionata anche rispetto alla capacità di incenerimento dei termovalorizzatori regionali, il che potenzialmente limita la possibilità di avviare a recupero energetico tutti i rifiuti indifferenziati prodotti, favorendo, ancora una volta, il loro smaltimento in discarica (o un loro costoso trasferimento in altre Regioni o all’estero). Per evitare tale esito, si dovrebbe dunque proseguire con l’adozione di misure normative finalizzate all’utilizzo del CDR/CSS anche nei cementifici o nelle centrali termoelettriche, al fine di fornire concretamente nuovi sbocchi di mercato a tale combustibile.

All’aspetto strutturale sopra delineato si accompagna una gestione degli impianti – che dovrebbe essere assoggettata al monitoraggio della Regione – che finora ha contribuito anch’essa a favorire lo smaltimento in discarica. Bassi tassi di utilizzo di una capacità di termovalorizzazione già di per se insufficiente conducono infatti ad una ulteriore carenza di sbocchi per il recupero energetico, dirottando verso la discarica i rifiuti che passano dagli impianti di trattamento meccanico-biologico.

Tale alterazione dell’assetto gestionale dei rifiuti, oltre a rilevare sotto il profilo ambientale, in quanto ha privilegiato la soluzione meno desiderabile sulla base delle normative comunitaria e nazionale, ha frenato, come detto, la creazione di mercati concorrenti, a valle dell’attività di raccolta e di trasporto, nel recupero di materia e di energia, determinando l’insorgenza di costi che, in ultima analisi, sono stati posti a carico degli utenti del servizio per la gestione dei rifiuti.

La pianificazione della Regione in tema di rifiuti presenta inoltre alcuni profili discriminatori all’interno della filiera del CDR/CSS, nella misura in cui è idonea a favorire alcune categorie di operatori a danno di altre. Infatti, una regolazione parziale come quella implementata dalla Regione Lazio può comportare una compressione dei margini a danno di operatori non integrati verticalmente attivi nella fase di produzione di CDR/CSS, nella misura in cui le tariffe di conferimento dei rifiuti indifferenziati ai loro impianti di trattamento non vengono tempestivamente adeguate a fronte di eventuali aumenti dei prezzi di termovalorizzazione, non essendo questi ultimi sottoposti ad alcuna procedura di approvazione da parte della Regione. Tale assetto regolatorio, oltre a comportare un danno agli operatori già attivi non verticalmente integrati, è idoneo a restringere la concorrenza potenziale, e dunque a limitare l’ingresso di nuovi soggetti imprenditoriali nel mercato della produzione di CDR/CSS nel territorio regionale.

Il carattere discriminatorio dell’assetto regolatorio definito dalla Regione Lazio con riferimento all’attività di produzione di CDR/CSS emerge inoltre anche dalla circostanza che esso non prevede, a differenza di quanto avviene per gli altri impianti di trattamento meccanico-biologico laziali, determinazioni tariffarie per gli impianti di AMA. Sul punto, rileva osservare che l’assenza di un corrispettivo tariffario, ancorché di natura infragruppo, non incentiva sicuramente AMA a conseguire adeguati standard di efficienza nell’attività di recupero e/o smaltimento di rifiuti indifferenziati. AMA, infatti, essendo integrata a monte nella raccolta dei rifiuti solidi urbani – attività in cui gode di un monopolio legale all’interno del territorio del Comune di Roma – può scaricare sugli utenti finali del servizio di raccolta, vale a dire sui cittadini, i maggiori costi derivanti da una gestione inefficiente delle attività a valle di recupero e smaltimento dei rifiuti. Tale tesi è confermata anche dal fatto che la tariffa a carico dei cittadini del Comune di Roma

per la gestione dei rifiuti è tra le più alte di Italia e seconda, fra le grandi città, solo a quella di Napoli8. In quest’ottica, i profili discriminatori dell’assetto di regolazione regionale potrebbero essere ulteriormente acuiti dal recente acquisto dell’impianto di Colleferro da parte di una società della Regione Lazio. Tale partecipazione in uno degli impianti di termovalorizzazione, infatti, determina in capo alla Regione un conflitto di interessi, svolgendo quest’ultima compiti di pianificazione e regolazione ed essendo al contempo attiva in una fase del sistema di gestione dei rifiuti.

8 [Cfr. “Relazione annuale 2011-2012 sullo stato dei servizi pubblici locali e sull’attività svolta”, Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici locali di Roma Capitale, p. 166.]

Sulla base delle considerazioni suesposte, l’Autorità confida che la Regione Lazio ponga mano alla regolamentazione settoriale in maniera da minimizzare le distorsioni concorrenziali individuate. In particolare, si auspica: – la rimozione di un assetto di regolazione parziale della filiera del CDR/CSS, ed, in prospettiva, qualora si aprissero più ampie prospettive di mercato per il CDR/CSS, una progressiva de-regolazione anche dei corrispettivi di conferimento agli impianti di trattamento;

– la cessazione dei profili discriminatori della regolamentazione a favore di AMA; – una eventuale estensione dell’autorizzazione dei termovalorizzatori laziali ad incenerire direttamente i rifiuti indifferenziati; – l’assunzione di iniziative finalizzate alla promozione della raccolta differenziata, nell’ottica di ampliare le possibilità di valorizzazione economica del rifiuto, e dunque di dare impulso ai mercati, a valle della raccolta, del recupero di materia; – lo svolgimento di un’ efficace attività di monitoraggio dei flussi e dei comportamenti degli operatori attivi nelle fasi di trattamento e termovalorizzazione nel Lazio, al fine di verificare, ed eventualmente intervenire, su fenomeni di sottoutilizzazione degli stessi.

La presente segnalazione verrà pubblicata sul Bollettino dell’Autorità ai sensi dell’articolo 26 della legge n. 287/90.

IL PRESIDENTE

Giovanni Pitruzzella


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