Natura pubblica del servizio prestato anche per una Spa

luglio 25, 2013
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Sent. n. 489/2013

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE DEI CONTI

 

Iª SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO

 

composta dai sig.ri Magistrati

 

dott. Martino COLELLA Presidente

 

dott.ssa Maria FRATOCCHI Consigliere

 

dott. Mauro OREFICE Consigliere rel.

 

dott. Piergiorgio DELLA VENTURA Consigliere

 

dott. Massimo DI STEFANO Consigliere

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio sull’appello iscritto al n. 40674 del registro di Segreteria, proposto dal sig. Alessandro COLAUTTI, rappresentato e difeso dall’avv. Luca Ponti, avverso la sentenza n. 12/2011 depositata il 16 febbraio 2011, resa dalla Sezione Giurisdizionale per la Regione Friuli Venezia Giulia.

 

Visti gli atti e documenti di causa.

 

Uditi, nella pubblica udienza del 15 marzo 2013, il relatore Consigliere dott. Mauro Orefice; su delega dell’avv. Luca Ponti, l’avv. Luca De Paoli ed il V.P.G. Mario Condemi, in rappresentanza della Procura Generale.

 

FATTO

 

Con l’impugnata sentenza, il signor Alessandro Colautti è stato condannato al pagamento del 40% della somma complessiva di euro 6.689,20, comprensiva di rivalutazione monetaria, oltre rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giudizio, in favore della società Consorzio Acquedotto Friuli centrale S.p.A.

 

Il giudice di prime cure ha ritenuto il signor Colautti, quale presidente del consorzio citato, responsabile per colpa grave avendo accertato che questi aveva effettuato esborsi illegittimi, in quanto non collegati ad alcuna finalità istituzionale del consorzio medesimo, consistiti nell’acquisto di abbonamenti alle partite di “Udinese calcio S.p.A.” ed a spettacoli teatrali, contabilizzando gli importi tra le spese di rappresentanza.

 

La vicenda risulta oggetto anche di procedimento penale per peculato, risoltosi con sentenza di assoluzione con la formula “il fatto non sussiste”.

 

Avverso la citata sentenza il signor Colautti ha interposto atto di appello, depositato in data 13 maggio 2011, con il quale ha contestato il difetto di giurisdizione di questa Corte, la mancanza di colpa grave e la natura di rappresentanza delle spese censurate.

 

La Procura Generale di questa Corte ha depositato in data 1 febbraio 2013 le proprie conclusioni con le quali ha sostenuto l’infondatezza della eccezione relativa al difetto di giurisdizione, sottolineando, peraltro, come invece l’attività di spesa contestata possa considerarsi rientrante nell’ambito delle spese di rappresentanza.

 

In occasione dell’odierna udienza parte appellante ed il rappresentante del Pubblico ministero hanno confermato le conclusioni scritte.

 

DIRITTO

 

In via preliminare, il Collegio è chiamato a pronunciarsi sull’eccezione relativa al difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa dell’odierno appellante.

 

La questione, già posta in primo grado, fa riferimento alla natura societaria del soggetto agente ed al fatto che il danno, ove ritenuto sussistente, riguarderebbe al massimo il patrimonio della società e non il valore della partecipazione azionaria, determinando, secondo la recente giurisprudenza della Corte di cassazione, la giurisdizione del giudice ordinario.

 

In proposito, va ricordato che la C.A.F.C. S.p.A. è una società per azioni – originariamente nata come consorzio – che opera nel settore dei servizi idrici, fognari ed altro, i cui soci sono 72 comuni della provincia di Udine oltre alla provincia stessa, determinando quindi la natura interamente pubblica del capitale sociale.

 

Peraltro, la natura privatistica del soggetto non sembra assumere particolare rilievo, tenuto conto che l’interesse pubblico e l’utilità sociale possono notoriamente essere perseguiti e realizzati anche con strumenti giuridici di natura privatistica. Pertanto, e conseguenzialmente, assume aspetto marginale la natura pubblica o privata della società in questione poiché è la natura del servizio prestato che assume rilievo ai fini della qualifica dei soggetti agenti; nella fattispecie, non sembra da porre in questione che tale natura è di tutta evidenza pubblica, trattandosi di funzioni primarie (la gestione idrica) che gli enti locali hanno determinato di demandare ad un soggetto terzo attraverso un processo di esternalizzazione che ha prima riguardato un consorzio e poi una società per azioni.

 

D’altra parte, la stessa sentenza del tribunale penale di Udine afferma che non è da porre in dubbio il carattere di pubblico servizio della funzione svolta dal C.A.F.C., trattandosi di erogazione – attraverso la creazione e gestione degli impianti, ma anche attraverso la stipula di contratti con i singoli utenti – di beni primari quali l’acqua e di servizi altrettanto primari quali la rete fognaria e la depurazione delle acque. Ne deduce, conclusivamente, il giudice penale che l’attività svolta dalla società è dunque un’attività disciplinata da norme di diritto pubblico, oltre che riguardare beni primari; non sembra dunque contestabile, afferma ancora il predetto giudice, la qualifica degli interessati quali incaricati di pubblico servizio.

 

Pertanto, anche in ossequio a pregressa e conforme giurisprudenza di questa sezione, il Collegio non può non osservare che nella fattispecie ci si trova di fronte ad un’attività che, seppur svolta da soggetto privato, risponde a principi di interesse generale che fanno capo all’originario intestatario nella veste dell’ente territoriale il quale, conferendo fra l’altro la totalità del capitale, ha il diritto/dovere di assicurare la primaria prestazione pubblica – non a caso disciplinata e regolata da norme statali e regionali – facendo ricadere quindi nell’ambito della tutela del patrimonio pubblico qualunque azione tesa a danneggiare il soggetto prestatore del servizio.

 

Di qui il superamento della formula che vorrebbe la automatica riferibilità del soggetto privato alla giurisdizione ordinaria e la relativa affermazione della sussistenza della giurisdizione contabile a tutela delle risorse destinate al soddisfacimento di bisogni collettivi primari.

 

Nel merito, va osservato che il fatto storico dell’acquisto dei due abbonamenti contestati, del loro utilizzo concreto e dell’imputazione di spesa alla società che li pagò è indiscusso.

 

La difesa dell’odierno appellante si basa essenzialmente sul fatto che il medesimo operava all’interno di una società a tutti gli effetti privata. La presenza sul mercato, la necessità di creare sinergie, rendevano necessaria la disponibilità di quegli strumenti – quali l’accesso a luoghi di incontro privilegiati, quali il settore autorità dello stadio – che avrebbero consentito senz’altro a C.A.F.C. di aumentare la rete di relazioni, e quindi di avere successo nel mercato di riferimento.

 

La tesi, ad avviso del Collegio, appare suggestiva anche se appare provare troppo.

 

In primo luogo, appare singolare affermare che non vi siano altre opportunità di incontro o di svolgimento di relazioni sociali al di fuori di quelle indicate. Se la tesi di parte appellante dovesse essere condivisa, ciò significherebbe che ciascun ente locale o società od ente per esso operante sarebbe legittimato ad annoverare fra le spese di rappresentanza quelle di cui oggi è causa.

 

Ad avviso del Collegio, il primo elemento necessario, ai fini di una azione pubblica legittima, è dato dalla adozione di uno specifico regolamento interno per le spese di rappresentanza e casuali. Tali atti regolamentari o di amministrazione generale costituiscono, unitamente ai relativi stanziamenti di bilancio, la misura della legittimità delle spese di rappresentanza. A tale scopo vanno opportunamente modulati, per linee generali e con la dovuta chiarezza, tanto l’aspetto della proiezione all’esterno dell’Ente, inteso nella sua globalità, quanto l’aspetto della correlazione dell’esigenza di rappresentatività con le finalità dell’Ente medesimo. La spesa pubblica deve essere sempre finalizzata alla cura di un pubblico interesse il quale dovrà essere individuato non attraverso personali ed estemporanee valutazioni caso per caso, bensì in base ad obiettivi criteri tecnico-giuridici, da predeterminarsi, almeno nelle linee generali, in rapporto a quelli specifici dell’Ente.

 

Quindi, nella constatata assenza di precisazioni legislative in materia, le spese in argomento tradizionalmente intese quali facoltative, cioè discrezionali anche nell’ an, possono essere disposte solo se ed in quanto l’esigenza di rappresentatività dell’Ente sia stata preventivamente accertata e definita, nei suoi termini essenziali, in atti regolamentari o quanto meno, in atti generali, da emanarsi, di regola, da organi diversi da quelli cui compete l’ordinazione delle singole erogazioni.

 

Va inoltre evidenziato che, in base a costante giurisprudenza in materia, il grado di idoneità della spesa appare ravvisabile soltanto in diretta connessione, da un lato, con la qualità dei soggetti che, in quanto espressione normativamente riconosciuta della istituzione, esplicano l’attività; dall’altro, con le circostanze temporali e modali dell’attività stessa che, per assumere una precisa valenza rappresentativa, devono avere il carattere della eccezionalità, rinvenirsi, cioè al di fuori delle ordinarie ed impersonali operazioni dell’amministrare.

 

Oltre alla corretta individuazione di criteri oggettivi e predeterminati è necessario un secondo elemento relativo alla successiva fase di contabilizzazione delle spese. Le spese di rappresentanza, infatti, debbono essere esposte nei rendiconti in maniera non globale o forfettaria, bensì in modo da evidenziare precisi riferimenti soggettivi, temporali e modali che consentano un’adeguata valutazione della rispondenza ai fini pubblici delle spese stesse.

 

Da tutto ciò discendono una serie di corollari essenziali ai fini della definizione della vicenda.

 

In primo luogo, la sentenza penale non può essere richiamata quanto alle conclusioni, perché è più che evidente che il fatto che “non sussiste” è il peculato. E’ chiaro che il giudice penale non può occuparsi di altro se non di verificare la sussistenza degli estremi di integrazione del reato, che ai presenti fini assume relativo rilievo.

 

La questione quindi non è nei termini del fatto che per un giudice le spese in parola sono da ritenere “di rappresentanza”, mentre per l’altro no. Ciò che appartiene alla delibazione dei singoli giudici è un oggetto diverso: la sussistenza del reato, quanto piuttosto la correttezza dell’agire amministrativo.

 

Non appare corretto dire che le spese di cui si discute siano state previste in bilancio e che le stesse erano state contemplate in atti generali.

 

La previsione contabile effettuata è di carattere generale e non specifico, contrariamente a quanto richiesto ai fini della verifica della correttezza della spesa discrezionale, mentre la previsione nel budget annuale non assume la valenza di una determinazione generale e astratta su una tipologia di spesa da disciplinare secondo criteri che necessariamente non devono essere caratterizzati da valutazioni contingenti.

 

Quanto al principio di ragionevolezza o di scarsa incidenza della spesa medesima, ciò non appare valutabile tenuto conto, in primis, del fatto che la ragionevolezza va valutata ex ante e non sulla base, come affermato dall’interessato, di positivi risultati ottenuti dall’iniziativa, mentre ogni valutazione sul quantum resta indifferente in relazione alla necessaria affermazione di principi di carattere generale.

 

Se poi, ad avviso del Collegio, si volessero generalizzare affermazioni quali quella in base alla quale “la presenza domenicale allo stadio per il dott. Colautti, lungi dall’essere stato per lui un piacere o un comportamento esibizionistico, era per lui adempimento ad una funzione istituzionale”, non vi è chi non veda come la vita istituzionale di un soggetto esercente pubbliche funzioni appaia singolarmente condizionata non da eventi tipici od eccezionali volti ad accrescere od a mantenere il prestigio del soggetto quanto piuttosto ad incontri connessi a circostanze ben poco conferenti con la vita istituzionale del soggetto medesimo.

 

Da ultimo, non appare dirimente l’ulteriore profilo relativo alle mancate osservazioni da parte dei sindaci e dei revisori. Al di là di ogni altra considerazione, è ben chiaro che tale stato di cose non legittima comunque l’attività posta in essere.

 

Questo Collegio, pertanto, non può che valutare come gravemente colpevole il comportamento tenuto dall’ odierno appellante, lontano dai parametri di correttezza amministrativa.

 

Per tutto quanto precede, quindi, il ricorso in appello va dunque respinto e, per gli effetti, confermata integralmente la sentenza di primo grado

 

Le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

La Corte dei Conti – Sezione Prima Giurisdizionale Centrale di Appello

 

definitivamente pronunziando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette:

 

RESPINGE l’appello iscritto al n. 40674 del registro di Segreteria, proposto dal sig. Alessandro COLAUTTI, rappresentato e difeso dall’avv. Luca Ponti, avverso la sentenza n. 12/2011 depositata il 16 febbraio 2011, resa dalla Sezione Giurisdizionale per la Regione Friuli Venezia Giulia.

 

CONDANNA parte soccombente alle spese di giudizio, quantificate in € 99,28 (novantanove/28).

 

MANDA alla Segreteria per gli adempimenti di competenza

 

Così deciso, in Roma, nella Camera di Consiglio del 15 marzo 2013.

 

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