“The Session” narra l’iniziazione sessuale dello scrittore-poeta Mark O’Brien, costretto all’immobilità dalla poliomelite.
La vita del protagonista è tracciata dalle immagini di scambio e relazione con le persone con cui interagisce: il prete, gli assistenti, la terapeuta sessuale, le donne, che si alternano a immagini più solitarie di un O’Brien nel polmone d’acciaio, consapevole, ma non rassegnato.
I vari momenti di vita sono scanditi dal sorriso ironico e malinconico del protagonista, che non rinuncia a immergersi nella vita, seppur nella difficoltà della sua condizione, e decide, sulla soglia dei 40, di concedersi l’esperienza della sessualità, immaginata e mai vissuta, grazie alla collaborazione e alla complicità di un “surrogato sessuale” , cioè di una terapeuta sessuale che lo inizierà al sesso.
In Italia questa figura non esiste, ma è molto diffusa in America e in altri paesi europei, si tratta di un/una terapeuta, che opera nel campo dei disturbi e delle disfunzioni sessuali, che può avere con il cliente rapporti sessuali a vario livello, all’interno di un programma terapeutico. Una figura importante, che dà voce alla sessualità e ai bisogni emozionali spesso negati, taciuti, rimossi non solo dal singolo, ma anche da una società, per cui il binomio sessualità/disabilità è ancora un tabù.
Le immagini del film scandiscono proprio le diverse sessioni sessuali tra O’Brien e la terapeuta, Cheryl, passando dall’inizio asettico, attraversando imbarazzi e frustrazioni, fino al raggiungimento di un’intimità vera, totalizzante; il racconto è privo di retorica e di pietismo, e mostra senza filtri e con rispetto, il corpo nudo di Cheryl, che si espone con coraggio e naturalezza, il corpo piegato dalla malattia di O’Brien, che non rinuncia all’incontro con l’altro e con se stesso.
E’ un’esposizioni di corpi, quello non più giovane della terapeuta e quello debilitato del protagonista, che diventano la rappresentazione scenica di una sessualità svincolata da bellezza, perfezione, forma fisica, che si alimenta da dentro, di un contatto profondo, e anche complesso, con l’altro.
Il film parte dall’iniziazione sessuale di un disabile per andare oltre: non si prescinde dal corpo immobilizzato di O’Brian, ma quel corpo transita durante il film, proprio come la lettiga sul quale è sdraiato, trasportata dalla sua assistente, dalla limitatezza e dal vincolo imposto dalla polio, alla spaziosità dell’essere, dell’esser-ci, di un movimento che avviene da dentro, e che attraverso l’innocenza e la gioia della scoperta sessuale e sentimentale, sussurra, non celando le difficoltà, di starci nella vita, comunque.
Claudia Garano