In nome del padre materno

novembre 6, 2012
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Le profonde mutazioni della coppia e della famiglia dei nostri tempi confusi (meno figli, più divorzi, unioni instabili e atipiche…) sono spesso evocate da psicologi e sociologi con toni di cupa inquietudine.

C’è però un fenomeno – semplice, comune, ben visibile a tutti – che è invece, almeno a prima vista, tenero e rassicurante: quello dei nuovi padri. Sono uomini capaci di rivoltare abilmente nelle loro manone l neonato da cambiare, disponibili ad alternarsi con la madre al biberon o ad accorrere se il piccolo si sveglia di notte: sensibili e gentili, sono in grado di assolvere a tutte le funzioni del maternage con grande naturalezza, senza alcuna ostentazione ideologica (come invece avveniva da parte degli uomini delle passate generazioni quando eccezionalmente e occasionalmente prendevano il posto della mamma): e, soprattutto, senza lo scompiglio emotivo che contraddistingueva i papà di un tempo, imbarazzati solo a tenere in braccio un neonato, capaci di comunicare con i figli solo dopo che avessero imparato sport e congiuntivi.

Il padre tiranno del passato, affettivamente lontano e deputato solo al sostentamento economico e all’amministrazione delle punizioni, è definitivamente uscito di scena, mentre si determinano nuovi tipi di assenza. A seguito di separazioni e divorzi che quasi sempre vedono i figli affidati alle madri, aumentano i padri emarginati; talora ben lieti di sentirsi liberi e scaricati dalle responsabilità familiari; talora invece rancorosi e sofferenti. Così la comparsa dei nuovi padri materni (detti talvolta con una nota di svalutante ironia i nuovi “mammi”) si intreccia con la crisi della figura paterna tradizionale.

I “padri materni” non sono però un frutto esclusivo del nostro tempo; a mio parere, sono invece la rappresentazione di una fantasia segreta – eterna e universale di maschi e femmine – di ricevere protezione da una figura genitoriale che assommi le caratteristiche di un papà e di una mamma idealizzati: un’immagine forte e protettiva, ma anche tenera e buona, esente da conflitti, contrasti, sessualità, aggressività. In passato, l’emblema del padre materno era la figura di San Giuseppe, dalla virilità svalutata ma rassicurante.

Nell’attuale tendenza collettiva alla regressione verso l’indifferenziato, uomini e donne sono disponibili a fare le mamme, ma nessuno fa più il padre. E sempre più spesso vediamo famiglie cosiddette monogenitoriali, nelle quali i figli – o magari l’unico figlio – crescono con un genitore solo, quasi sempre una mamma single, a sua volta priva di modelli consolidati, che deve svolgere come sa e come può tutte le funzion

L’uomo che fa la mamma a oltranza si identifica segretamente con una madre idealizzata, ma al tempo stesso si identifica con il bambino. La fantasia inconscia è di essere lui quel piccolo adorato, e di appagare attraverso le cure che gli profonde il proprio inesauribile nostalgico bisogno di regressione senza conflitto. Un’ambiguità fascinosa che, sia detto a onor di giustizia, per secoli, troppo spesso, hanno esercitato impunemente le madri.

Passata la prima infanzia, anche il “mammo” più devoto diventerà però deludente. Tenero sì, ma forte? Quale autentica protezione potrà continuare a offrire rispetto agli insulti della realtà? L’idillio, come ogni rapporto basato sull’idealizzazione, è destinato a un’inesorabile delusione, e il prezzo del disinganno può essere allora molto oneroso: carico di rabbia e di sterili rivendicazioni da parte dei figli; di umiliazione, depressione, risentimento da parte del padre, che non si vede più rispecchiato come perfetto. Il genitore migliore, infatti, secondo le concezioni psicoanalitiche, non è quello perfetto, ma quello “sufficientemente buono”, che prepara gradualmente il figlio alle frustrazioni della vita.

L’esperienza clinica e quella quotidiana testimoniano che per molti non ha più molto senso sfidare l’autorità dei genitori che, da almeno due generazioni, sembrano avere abdicato non solo dall’autorità e dall’autorevolezza: ma anche dalla funzione adulta normativa, punitiva e protettiva. Il paradosso è che se il superamento dell’asimmetria tra genitori e figli ha prodotto significativi vantaggi sul piano della libertà e del rispetto umano, per contro ha smorzato la spinta propulsiva verso l’uccisione simbolica, quell’aggressività sana che favorisce la crescita.

Simona Argentieri (www.meltemieditore.it)

 

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