Recuperare lo spirito cooperativistico

agosto 11, 2015
By

Antonio M. Mira (da avvenire)

«Recuperare lo spirito cooperativistico che è stato snaturato rispetto all’idea originaria» arrivando a essere «un meccanismo di abuso, un vero e proprio bubbone, un sistema di finanziamento stabile di partiti e fondazioni, senza controlli e trasparenza». Ma anche «riaprire il discorso sul finanziamento pubblico alla politica con una logica che sia meno moralista ma anche di grande rigore». E la denuncia di «un mondo dell’antimafia che dimentica l’attività concreta per diventare solo istituzione, e che può essere utilizzato anche in una logica speculativa e affaristica».
È un Raffaele Cantone a tutto campo, molto poco “politicamente corretto”, quello che riflette sul sistema emerso nelle inchieste sul mondo della cooperazione, da “Mafia Capitale” a Cpl Concordia, sui legami con la politica e i problemi dell’antimafia. E il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione avverte: «Se non c’è una riflessione vera non ci si può poi meravigliare che avvengano queste cose, o che ritornino. Il meccanismo di difendersi dicendo che si tratta di quattro mariuoli di un sistema sano non regge. Pur all’interno di un sistema sano bisogna avere il coraggio di dire che quei quattro mariuoli sono stati favoriti da regole che facevano sì che i mariuoli potessero fare i mariuoli».
Cooperative da riformare?
Il mondo delle cooperative ha dimostrato che soprattutto quando si interfaccia in territori difficili, dove c’è la presenza delle mafie, dimentica il suo carattere per comportarsi come gli imprenditori più spregiudicati, perfino peggio, come è emerso in modo abbastanza chiaro dalle vicende della Cpl Concordia. Veri e propri colossi, che vincono cinquecento o mille appalti non hanno nulla più di cooperativo. Nelle intenzioni della Costituzione il mondo cooperativo nasceva come un apporto del lavoro alla proprietà, ma questo è diventato ormai una pia illusione.
Tutto da buttare via?
Nei giorni scorsi sono stato a Modena per una riunione sulla Cpl. Lì ho visto l’altra faccia di questa cooperativa, il grande legame al territorio. I sindaci ne parlavano come un pezzo della propria realtà. E ho avuto anche un’ottima impressione del nuovo management che in qualche modo prova a prendere le distanze e rivendica quanto di buono hanno fatto nell’economia emiliana. I nostri stessi amministratori evidenziano un livello di attaccamento da parte dei dipendenti che è difficile trovare in un’impresa ordinaria. Il problema vero è lo snaturamento di chi vive sostanzialmente di appalti, senza più nessun rapporto tra proprietà e lavoro.
Bisogna cambiare le leggi?
La questione si pone per le cooperative sociali di tipo B che nascono non per svolgere attività di lucro e che proprio per questo possono accedere al sistema degli appalti senza gare ma con affidamenti diretti, una corsia preferenziale. Non ci dovrebbe essere utile, ma contribuire al volontariato, al Terzo settore.
Poi è arrivata “Mafia Capitale” che ha coinvolto proprio questo tipo di cooperative.
Attraverso questo sistema e uno scarso controllo, si è strutturato un meccanismo di abuso, un vero e proprio bubbone. Le vicende che stanno emergendo in tutt’Italia, hanno fatto emergere che dietro queste cooperative si nascondono affaristi spesso legati a personaggi della politica locale, e che si improvvisano per fornire servizi per immigrati, rom, disabili, bambini in condizioni disagiate, e poi distraggono il denaro verso altre finalità.
Peggio delle altre cooperative?
Peggio. Mentre le prime sono ormai diventate dei colossi che mettono in discussione l’idea del sistema cooperativo, le seconde sono spesso interfaccia di piccoli meccanismi locali e servono anche alle amministrazioni locali per aggirare il sistema degli appalti. Da un punto di vista dei comportamenti criminali sono certamente più piccoli quantitativamente ma spesso più eclatanti perché si arriva perfino a rubare i soldi agli immigrati.
Qui servono regole nuove?
Sicuramente. I meccanismi di affidamento devono avere regole di maggiore trasparenza ma anche un minimo di gara. Vogliamo affidare a una cooperativa di tipo B l’accoglienza degli immigrati? Va bene, ma facciamo un bando tra tutti quelli che hanno i requisiti, non affidiamola agli amici degli amici, magari inventandoci una cooperativa ad hoc…
Alcune di queste sono poi diventate dei giganti.
Il salto di qualità nasce quando riescono a diventare veri e propri monopolisti. Hanno capito l’importanza di quel settore, nato con una logica dell’emergenza, e questo ha consentito di inserirsi in affari che si sono rivelati iperlucrosi, soprattutto per l’assenza completa di controlli.
Come è stato possibile?
Oggi ci meravigliamo per la cooperativa “29 giugno” o il gruppo “La Cascina”, ma nessuno si meravigliava quando finanziavano campagne elettorali, davano contributi. Ma come faceva una cooperativa che non dovrebbe avere utili ad avere questa disponibilità? Potevamo immaginare che il sistema cooperativo tradizionale finanziasse la politica, ma poi abbiamo scoperto che le cooperative sociali avevano drenato una quantità talmente enorme di denaro da essere elargitori ancora maggiore di prebende. Un sistema di finanziamento stabile di partiti e fondazioni. Non si può dire che tutto fosse do ut des, ma un pezzo sicuramente sì.
Va rivisto in questo senso il tema del finanziamento alla politica?
Il tema del finanziamento della politica in Italia è stato affrontato con una logica ipocrita. Anche l’ultima riforma. Eppure dovrebbe essere uno dei temi centrali nel contrasto al sistema della corruzione. Invece anche i meccanismi di controllo sono completamente sganciati rispetto a quelli di controllo tradizionale della corruzione. Se penalmente faccio un’indagine per corruzione e evidenzio anche il finanziamento illecito, in genere le due vicende vengono gestite insieme. Nell’attività di prevenzione della corruzione abbiamo messo in campo un sistema più o meno efficace, ma le parti che riguardano il finanziamento della politica sono completamente sganciate, come se fossero un’altra cosa. Sbagliando. Sull’onda del populismo si è eliminato il finanziamento pubblico, si sono previste delle regole di certificazione e di trasparenza che riguardano il finanziamento privato ma i meccanismi sono assolutamente ridicoli e risibili. E non tengono conto che una parte vera del finanziamento comunque non riguarda i partiti. Questi hanno un minimo di regole di trasparenza e controllo. Non funzionano ma ce l’hanno. Ma ora sono le fondazioni, le associazioni a svolgere la vera funzione di motore della politica, come abbiamo visto nelle inchieste. Non vanno assolutamente criminalizzate perché sono meccanismi di elaborazione culturale, ma dovrebbero avere standard di controllo, pubblicità e trasparenza quantomeno analoghi a quelli dei partiti, e anche di più.
Sarebbe uno scandalo riaprire il dibattito sul finanziamento pubblico?
Sarebbe assolutamente indispensabile riaprire il discorso con una logica che sia meno moralista ma anche di grande rigore. Oggi il meccanismo di controllo nei confronti dei partiti non sta dando nessun risultato e probabilmente non li darà. E ne stanno fuori quelle realtà che partiti non sono. I sindacati possiamo, ad esempio, continuare a considerarli realtà assolutamente privatistiche? Soggetti che svolgono un ruolo di elaborazione delle scelte della politica e che maneggiano molti soldi, devono avere regole di trasparenza analoghe a quelle che chiediamo al comune. Se un comune dà una sovvenzione di mille euro a un poveretto la deve mettere sul suo sito, se una fondazione prende una sovvenzione di 100mila euro e dà una consulenza a un “amico” non deve dirlo a nessuno…
Che fine faranno le grandi cooperative commissariate, come Cpl Concordia e La Cascina? Quanto possono reggere?
È una situazione provvisoria, che ha la pretesa forse un po’ presuntuosa di provare a un ritorno in bonis da un punto di vista del rispetto delle regole. Questi commissariamenti devono anche essere l’occasione per una riflessione sulla governance delle coop, mantenendo il buono che c’era. Consentono di andare avanti per un breve periodo, ma poi devono tornare in mare aperto, veramente competitive. Ma se il sistema resta così il rischio è che una volta abbassato il livello di attenzione torneranno a fare quello che, purtroppo, hanno dimostrato di saper fare…
Queste inchieste, soprattutto in Campania, hanno intaccato anche il mondo dell’antimafia.
L’antimafia è diventata una sorta di brand, che consente di accedere a una serie di vantaggi come poter utilizzare i beni confiscati, diventare paladino della legalità e così anche accedere a rapporti preferenziali con gli enti pubblici. Antimafia come istituzione e non come attività fatta di atti concreti. Ma mi preoccupa che qualcuno possa darti il bollino dell’antimafia a prescindere dall’attività. Invece è soprattutto svolgere un ruolo attivo nei territori, essere di supporto agli imprenditori che denunciano, occuparsi dei beni confiscati ma in una logica che non è necessariamente di tipo economico. Se dimentica questo può essere utilizzata anche in una logica speculativa. Un meccanismo istituzionale che ha consentito carriere politiche, di nascondere affari illeciti. «Tanto io sono antimafia», quindi legibus solutus.
Anche per affari con le mafie?
Ricordo che Provenzano aveva capito subito come utilizzare lo scudo dell’antimafia, quando invitava un imprenditore a iscriversi all’associazione antiracket. Lo abbiamo visto a Casapesenna dove alcuni imprenditori hanno usato il brand antimafia per provare a ridarsi una verginità. Ma anche mondi associativi lasciano qualche perplessità, soprattutto gli ultimi arrivati. Le stesse preoccupazioni che nell’ultimo periodo vengono espresse in modo esplicito e continuo da don Ciotti, che non è uno che parla a vanvera, sono il segnale che questo mondo sta diventando sempre più variegato, frastagliato, e in alcuni aspetti ha perso completamente il carattere di volontariato e di impegno, per diventare tutt’altro. Quello che conta non è l’affiliazione ma quello che si fa, concretamente. Una riflessione va fatta, senza voler fare attacchi a nessuno perché io resto dell’idea che l’antimafia sia un valore positivo, ma proprio perché penso che vada tutelata bisogna avere il coraggio di mettere in evidenza quello che di negativo sta avvenendo.

link all’articolo

Tags: ,

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CHI SIAMO

EVENTO

"ATAC punto e a capo!"

Giovedì,
30 gennaio 2014

ore 15,00

Aula Magna della
Facoltà Valdese
di Teologia
Via Pietro Cossa 40
(Piazza Cavour)
Roma

Cartella Stampa »

Comunicato Stampa »

viva la costituzione

Archivi