La Città Metropolitana di Roma tra riforma e conservazione

settembre 6, 2014
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di Alfonso Pascale

 

Come può accadere che una riforma così importante come l’istituzione della Città Metropolitana di Roma Capitale, attesa da oltre venti anni, si possa attuare in modo burocratico e senza un minimo di dibattito pubblico sulle differenti opzioni e sugli effetti che le diverse soluzioni possono determinare per la vita dei cittadini romani e di quelli della Provincia di Roma? Come può accadere che si possa adottare una procedura illegittima e nessun osservatore lo rilevi, reputando più importante la rapidità di conseguire l’obiettivo rispetto alla legittimità del percorso costituente adottato? Come può accadere che la realizzazione di un’idea innovativa, meritoriamente posta dal Governo Renzi in una corsia preferenziale perché foriera di importanti opportunità di sviluppo locale, sia assoggettata alle solite logiche di potere messe in atto da forti e incalliti gruppi di interessi politico-economici? Già da questi interrogativi si può dedurre lo scadimento qualitativo ormai raggiunto dalla nostra democrazia. Ma per rispondere persuasivamente a queste domande vediamo con ordine come si sono svolti i fatti.

 

Un’ordinanza con forti dubbi di legittimità

Con un’ordinanza emessa a ridosso di Ferragosto, il Sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha indetto le elezioni del Consiglio Metropolitano da svolgere domenica 5 ottobre. Alla consultazione dovrebbero partecipare tutti i sindaci e i consiglieri comunali in carica dei 121 Comuni della Provincia di Roma con il compito di scegliere i 24 consiglieri metropolitani. Saranno eleggibili all’incarico di consigliere – sulla base di liste concorrenti di candidati – i sindaci e i consiglieri che parteciperanno al voto.

La decisione del Sindaco Marino è avvenuta dopo cinque mesi dall’approvazione della cosiddetta Legge Delrio, dal nome del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio  che l’ha proposta, riguardanti le Città Metropolitane, le Province, le unioni e fusioni di Comuni.

La Legge Delrio definisce le Città Metropolitane “enti territoriali di area vasta” e attribuisce a tali istituzioni le seguenti funzioni: a)  adozione  e  aggiornamento  annuale  di  un  piano   strategico triennale del  territorio  metropolitano; b) pianificazione territoriale generale, ivi comprese le  strutture di  comunicazione,  le  reti  di  servizi  e   delle   infrastrutture; c) strutturazione di sistemi coordinati  di  gestione  dei  servizi pubblici, organizzazione dei servizi pubblici di  interesse  generale di ambito metropolitano; d) mobilità e viabilità; e) promozione e coordinamento dello sviluppo economico  e  sociale; f) promozione e coordinamento dei sistemi di informatizzazione e di digitalizzazione in ambito metropolitano. Sono inoltre attribuite alle Città Metropolitane le  seguenti  finalità istituzionali generali: cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano; promozione e gestione  integrata  dei  servizi,  delle infrastrutture e delle  reti  di  comunicazione  di  interesse  della Città Metropolitana; cura delle relazioni istituzionali afferenti al proprio livello,  ivi  comprese  quelle  con  le  città  e  le aree metropolitane europee.

Si tratta di una normativa che viene da lontano. È infatti una legge del 1990 che ha previsto, per la prima volta, l’istituzione delle Città Metropolitane. Ma quella legge è rimasta lettera morta perché non sono mai state emanate le corrispondenti norme attuative. Bisogna attendere la legge delega sul federalismo fiscale del 2009 per tornare a parlare di questo ente e prospettare un percorso per costituirlo. Ma anche tale previsione rimane inattuata. Si è insomma proceduto a freno tirato con più norme parziali, insufficienti e, in parte, contraddittorie.

Pigrizia e miopia conservatrice hanno finito per bloccare per due decenni l’avvio di un’istituzione unanimemente considerata strategica per lo sviluppo e per la coesione delle grandi città ed ha finito per rivelare, in maniera macroscopica, l’incapacità strutturale del nostro sistema di autoriformarsi e di progredire verso schemi organizzativi ed istituzionali inediti e più funzionali alle istanze della modernità e della globalizzazione.

L’istituzione della Città Metropolitana è sempre stata percepita come una minaccia per le autonomie coinvolte: le Regioni hanno avvertito il pericolo di un ridimensionamento della loro sfera di potere, a vantaggio di una intensa e competitiva concentrazione di funzioni all’interno del territorio regionale; le Province hanno temuto la loro scomparsa o il loro forte ridimensionamento; il Comune capoluogo si è preoccupato di una sicura limitazione del suo ruolo di governo della città; i Comuni satelliti, da ultimo, hanno paventato un’inaccettabile egemonia del Comune capoluogo o, comunque, una significativa perdita di competenze nell’amministrazione di alcuni servizi. E tutto questo a scapito delle popolazioni delle aree metropolitane che sono rimaste prive di strumenti di governo adeguati ad amministrarle.

Si arriva così alla Legge Delrio, la quale prevede che dal 1° gennaio 2015 le Città Metropolitane subentrano alle Province omonime. Prescrive inoltre che entro il 12 ottobre 2014 si devono svolgere le consultazioni per eleggere i Consigli Metropolitani. Stabilisce che lo statuto della Città Metropolitana può prevedere l’elezione diretta del Sindaco e del  Consiglio  Metropolitano. È però necessario, per poter svolgere l’elezione del Sindaco e del Consiglio Metropolitano  a  suffragio  universale, articolare il territorio del Comune capoluogo in più Comuni.  E la proposta di articolazione deve  essere  sottoposta  a referendum tra tutti  i  cittadini  della  Città  Metropolitana.  Per le sole Città Metropolitane con popolazione superiore  a  tre  milioni  di  abitanti, si possono svolgere le elezioni  del  Sindaco  e del Consiglio Metropolitano a suffragio universale,  anche in modo diverso. Basta che  lo  statuto della Città Metropolitana preveda la costituzione di zone omogenee, e che il  Comune  capoluogo  abbia ripartito il proprio territorio in zone  dotate  di autonomia amministrativa.

Ma la Legge Delrio, in ossequio al dettato costituzionale, non menziona Roma Capitale quando elenca le Città Metropolitane. Anzi precisa espressamente che queste sono costituite nel territorio delle Province omonime fatte salve le disposizioni speciali per Roma Capitale da applicare anche alla sua Città Metropolitana. Dunque per Roma c’è bisogno di una normativa distinta, anche se parallela, a quella adottata per le altre Città Metropolitane.

La Capitale della Repubblica ha ricevuto una disciplina speciale prima dalla Costituzione che ha previsto l’istituzione di Roma Capitale, quale ente locale sui generis, affidandone la regolazione ad una legge ordinaria, e, poi, da una serie di leggi fino alla “Delrio”, le quali stabiliscono che l’ente locale Roma Capitale assorbe anche le funzioni della Città Metropolitana quando questa è istituita, conservando lo status speciale ed unico.

Nel frattempo, il Senato ha approvato in prima lettura la riforma costituzionale che abolisce completamente le Province. La strada di questa riforma è ancora molto lunga. Ma il fatto che un ramo del Parlamento si sia pronunciato per l’abolizione di questi enti non può essere ignorato. E ciò complica ancor più la situazione perché la Legge Delrio fa riferimento a territori provinciali che a breve potrebbero non avere più rilevanza costituzionale.

Questa accelerazione riformatrice impressa dal Governo Renzi rischia di incepparsi e svuotarsi nella fase attuativa perché le circolari ministeriali trattano la materia indistintamente per tutte le Città Metropolitane senza rispettare la specificità di Roma. Sembra quasi che l’obiettivo del Governo non sia quello di avviare il processo costituente in modo chiaro ed efficace ma di correre contro il tempo per mettere in mostra una capacità riformatrice di facciata senza badare ai contenuti. Nella società dell’immagine, anche in casi delicati come questo, sembra prevalere l’apparenza e non l’essenza.

Ma in tal modo si va a mancare l’obiettivo che da anni si stava faticosamente perseguendo: quello di avere uno Statuto della Città Metropolitana che preveda la delimitazione territoriale del nuovo ente corrispondente alla natura delle sue funzioni; il riconoscimento di rappresentanti dei Municipi di Roma e di specifiche Comunità, omogenee e integrate, limitrofe al territorio comunale di Roma e l’elezione diretta del Sindaco e del Consiglio Metropolitano. Uno Statuto da sottoporre a referendum approvativo con il coinvolgimento dell’intero elettorato già nella fase costituente.

 

Una riforma che viene da lontano

Fin dalle prime elaborazioni a carattere scientifico che si sono successivamente tradotte in proposte politiche e istituzionali, a partire dagli anni Ottanta, l’idea della Città Metropolitana si è sempre accompagnata con l’ipotesi di un più sostenuto processo di decentramento amministrativo. E le resistenze che si sono manifestate lungo il percorso, hanno riguardato sia l’una che l’altro.

È del 1983 la mostra organizzata dalla Giunta Vetere a Castel Sant’Angelo su “La metropoli spontanea” che metteva in risalto gli intrecciati fenomeni di abusivismo e di speculazione all’interno dei processi di espansione edilizia delle periferie romane e dei Comuni limitrofi. Ma l’iniziativa di denuncia non suscitò immediatamente un impegno a dotarsi di strumenti di autogoverno di area vasta. Un’analoga inerzia si registrò sul versante del decentramento. Le circoscrizioni istituite negli anni settanta ma furono dotate per un lungo periodo di quei poteri reali di cui il Pci aveva parlato proponendo la forma della municipalità. Né si sperimentò alcun congegno consultivo.

Si dovrà attendere la Giunta Rutelli per rilanciare le circoscrizioni e solo nel 2001 si potranno istituire i Municipi. Nel frattempo si svilupperanno le proposte di iniziativa popolare  per l’autonomia  di alcune Comunità lungo il perimetro della Città di Roma. Nel 1992 Fiumicino diventerà Comune autonomo distaccandosi da Roma. Nel 2001 nascerà il Comune di Fonte Nuova mediante il distacco della frazione di Tor Lupara di Mentana e Santa Lucia dal Comune di Mentana e della frazione di Tor Lupara di Guidonia Montecelio dal Comune di Guidonia Montecelio. Dopo Ciampino, che se ne separò nel 1974, anche Boville continuerà la propria battaglia per rendersi autonoma da Marino.

Tutta la vicenda dimostra che ogni passo avanti nell’azione riformatrice produce inevitabilmente un riflesso conservatore. E così sta accadendo anche oggi – nell’attuazione della Legge Delrio – con l’iniziativa della vecchia politica volta ad avere mani libere nel contrattare sottobanco la scelta di un Vice Sindaco Metropolitano che sia espressione del territorio “non capitolino” a cui affidare il compito di condizionare il Sindaco di Roma Capitale. L’ordinanza del Sindaco Marino è frutto di queste pressioni. Nei vertici del partito democratico, la soluzione che si prospetta viene considerata un possibile punto di equilibrio per attenuare il conflitto politico che da tempo si è innescato tra Marino e il suo partito, il quale non gradisce la troppa autonomia di cui si avvale Sindaco nell’esercizio delle sue funzioni. E tutte le altre forze politiche di governo e di opposizione, anziché contrastare questa manovra conservatrice, appaiono preoccupate soltanto a garantirsi la propria quota di rappresentanza nel Consiglio Metropolitano.

Il percorso che si sta attuando è tipico di un vecchio costume politico di stampo emergenziale che fa apparire le scelte che si compiono come obbligate, automatiche, giocando coi tempi ristretti, le distrazioni della pausa estiva e il silenzio compiacente degli operatori della comunicazione.

Il tutto per ottenere il risultato davvero miserevole di riprodurre – anche in questa occasione – il sempiterno equilibrio tra ceti politici romani e quelli della Provincia di Roma che caratterizza trasversalmente partiti, correnti, gruppi di pressione, comitati d’affari. E ciò in barba alle opportunità che questa fase costituente pure potrebbe offrire per affrontare in modo più efficace alcuni problemi che finora sono apparsi insolubili.

Dunque, non è affatto vero che si debba necessariamente e precipitosamente eleggere il Consiglio Metropolitano di Roma Capitale il 5 ottobre prossimo. Negli ambienti della società civile che si occupano di autonomie, politiche territoriali e sviluppo locale – come il Co.Pro.N.E.L. (Coordinamento Promotori Nuovi Enti Locali) – si nutrono forti dubbi sulla correttezza della procedura istituzionale che si sta percorrendo. E dunque farebbe bene il Sindaco Marino a sospendere l’ordinanza emanata il 19 agosto, con cui si sono indette le elezioni, e avere un chiarimento con il Governo. Ma nel frattempo sarebbe auspicabile che si aprisse un dibattito pubblico sulle diverse soluzioni senza ritenere la procedura adottata come l’unica possibile.

Non ha, infatti, alcun senso delimitare la Città Metropolitana in un’area che comprenda l’intera Provincia di Roma. Si tratta di un territorio con una popolazione di 4 milioni di abitanti (in una Regione con 5,5 milioni di persone) i cui confini vennero tracciati, in più fasi storiche diverse, per motivi che non avevano alcuna logica socio-culturale, economico-produttiva, ambientale e territoriale ma prettamente politici.

 

Le linee irrinunciabili di una vera riforma

Perché allora non approfittare di questa occasione, che non si ripeterà più per decenni, e ripensare i confini di una entità istituzionale che siano quanto più coerenti con gli scopi per i quali questa viene creata?

Un criterio potrebbe essere quello di individuare territori non più contrassegnati distintamente da città e campagna, ma da un continuum urbano-rurale; da processi che vedono le smart city evolvere verso spazi vitali smart; da una rurbanizzazione che è frutto di un tessuto sociale dinamico come molteplicità dialettica di sistemi, reattiva e policentrica. Si tratta di individuare territori in cui quello che una volta costituiva il settore primario (per distinguerlo dagli altri) oggi è un ambito della bioeconomia polivalente e multifunzionale che comprende le attività delle fattorie sociali, i percorsi didattico-educativi, gli itinerari turistici, culturali e ambientali nelle aree protette. Si dovrebbero selezionare territori in cui la dimensione rurbana fa emergere, con maggiore evidenza che in altri contesti, iniziative innovative come i Gruppi di Acquisto Solidale (GAS) o i Mercati Agricoli di vendita, che ripropongono la cultura del cibo locale o filiera corta, come riconnessione del legame tra produttore e consumatore e tra spazio urbano e spazio rurale e come garanzia di accesso al cibo di qualità soprattutto nelle aree dove si concentra la popolazione a più basso reddito.

Un altro criterio – che potrebbe combinarsi con il primo – è quello di considerare i flussi d’interscambio (tipicamente, i movimenti delle persone) tra il core e i poli urbani di minori dimensioni che lo circondano. Sono noti gli studi socio-economico-statistici che hanno tentato la definizione delle realtà metropolitane sulla base di rilevazioni basate sui dati relativi al lavoro, alla mobilità, alle attività produttive. Meritano, in particolare, di essere menzionati due metodi di rilevazione di concentrazioni urbanistiche sovracomunali: il sistema locale del lavoro (SLL), elaborato ed utilizzato dall’ISTAT al fine di circoscrivere un insieme di comuni interdipendenti tra loro e con il Comune “centroide”, e la regione urbana funzionale (cosiddetta FUR, acronimo di funtional urban region), che identifica aree territoriali più ampie di quelle rilevate nel SLL, ma comunque legate da vincoli di interdipendenza connessi alla mobilità ed alle relazioni produttive. Sono dunque rintracciabili, nelle elaborazioni statistiche e sociologiche, diversi strumenti conoscitivi capaci di descrivere spazi di intensa conurbazione che necessitano di un governo metropolitano.

Prendere in esame la delimitazione della Città Metropolitana con un approccio scientifico non è una stravaganza intellettualistica ma un esercizio di democrazia. Si tratta di definire non semplicemente un ente ma un territorio e un popolo sovrano che gli corrispondano mediante uno Statuto da approvare con referendum popolare. E pertanto i cittadini dovranno pronunciarsi su una proposta da formulare sulla base di una serie ragionata di criteri e di principi ben definiti. Altrimenti su cosa si dovranno esprimere?

È evidente che qualsiasi soluzione non dovrà impedire che Comuni della Provincia di Roma disomogenei e/o distanti dalla Città Metropolitana debbano avere la possibilità di definire un loro autonomo e diretto rapporto con la Regione Lazio, anche in forme organiche ed istituzionalizzate, come la creazione di Comprensori omogenei, per lo sviluppo ecocompatibile e socio ambientale di area vasta. Così come non si dovrà impedire a tali Comuni l’ autonomo potere di decidere accordi gestionali per singoli servizi anche con la Città Metropolitana di Roma Capitale.

L’altro aspetto importante che deve caratterizzare la riforma è la platea che dovrà eleggere il Consiglio Metropolitano. Tale platea di fatto predefinisce il territorio e il popolo sovrano di Roma Capitale prima della decisione. E allora, anziché includere solo i consiglieri comunali di Roma lasciando fuori quelli municipali, perché non prevedere che anche i rappresentanti dei Municipi e di Comunità confinanti o integrate con il territorio comunale di Roma entrino a far parte della platea elettiva? Così legittimato, tale organo istituzionale dovrebbe formulare la proposta di Statuto e i principi e i criteri che la sottendono.

Il Consiglio Comunale di Roma Capitale dovrebbe subito emanare un delibera d’indirizzo che impegni gli organi capitolini e i propri eletti nel Consiglio Metropolitano per l’azione istituzionale, definendo una procedura necessaria per gli adempimenti di sua competenza. Si tratta di riconoscere i Municipi quali zone omogenee dotati di autonomia amministrativa e di prevedere che al termine si svolga il referendum approvativo dello Statuto definitivo della Città Metropolitana di Roma Capitale.

Solo se si effettueranno questi passaggi, si potrà dire di aver rispettato il principio contenuto nella massima di Thomas Jefferson: “Ogni uomo, ed ogni gruppo di uomini sulla terra, possiede il diritto all’autogoverno”.

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