Abbattimento di via dei Fori Imperiali: pensiamoci bene!

marzo 24, 2014
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L’Associazione Bianchi Bandinelli ha promosso un interessante convegno sul progetto di demolizione di via dei Fori Imperiali e la creazione di un unico grande spazio archeologico. L’iniziativa ha avuto il pregio di promuovere un approfondimento, con relazioni dense e molti materiali, su un nodo cruciale per lo sviluppo della città. Un nodo che rischia, però, di essere sciolto sull’onda di suggestioni più che di ragionamenti.

Io stesso, assumendo l’incarico di assessore alla cultura, mi ero posto di fronte all’argomento con una serie di convinzioni dovute alle letture di Cederna, Benevolo, Insolera, paladini dell’abbattimento del sistema viario che attraversa l’area archeologica centrale e stavo per procedere alla demolizione di via Alessandrina, il corridoio pedonale che fronteggia i mercati di Traiano. Una più attenta riflessione mi ha fatto cambiare radicalmente idea.

Cosa sarebbe successo nella percezione dei Mercati di Traiano se si fosse eliminato il livello di osservazione della citata via? Sarebbe svanito il rapporto monumento-spettatore che oggi esalta la maestosità dell’opera, l’avrebbe allontanata dalla vista, in parte confusa in un panorama più ampio. Per far cosa? Per scoprire qualche cantina di palazzi ottocenteschi, come già successo nell’area limitrofa?

Come ho sostenuto nell’incontro di ieri, più che difendere una tesi mi sento di avanzare dei dubbi.
Tutti gli argomenti dei relatori, nella scia degli autori che ho appena citato, hanno ruotato sostanzialmente su due perni: il fascismo, per puri motivi propagandistici, ha voluto la creazione di un percorso monumentale tra piazza Venezia e il Colosseo e questo intervento ha tagliato in due la più grande area archeologica del mondo.

Tale idea, frutto di un errore storico oltreché culturale, finisce per distrarre dalla questione sostanziale e sposta l’asse della riflessione dal giudizio della cosa in sé a quello storico, che diventa l’unico metro. La retorica del fascismo si appropriò indubbiamente del nuovo assetto e ne fece un uso addirittura caricaturale (le cui eco sopravvivono, va detto, nelle sfilate militari dell’Italia repubblicana) ma tutti i principi che hanno ispirato quel complesso di interventi sono già contenuti nel piano regolatore del 1873 e ripresi in quello del 1911; la prima e più massiccia parte di sventramenti risale alla fine dell”800, fu dovuta alla costruzione del Vittoriano e la realizzazione di piazza Venezia. Gli stessi scavi per quella che diventerà via dell’Impero iniziano nel 1924, su progetti di gran lunga anteriori alla marcia su Roma. Infine il piano regolatore del ’31 non fa che recepire le indicazioni precedenti: la creazione di un asse di collegamento tra piazza Venezia e San Giovanni.

L’altro errore prospettico è quello, appunto, che considera la creazione dell’asse viario una specie di insulto all’area archeologica, “spaccata” scrive Francesco Erbani “dallo stradone voluto da Mussolini”, lasciando intendere che questa (l’area archeologica) preesistesse all’intervento urbanistico.

In realtà la strada nasce insieme all’area archeologica e rappresenta un elemento sostanziale di un intervento complessivo: prima non c’erano i “fori” ma un vasto quartiere abitativo sviluppatosi a partire dal ‘500 e quello che ha disegnato la forma che noi conosciamo è il frutto di varie demolizioni, operate prima da Corrado Ricci e poi, in una forma più organica e in un disegno articolato dell’intero centro storico di Roma, da Antonio Muñoz (Soprintendente ai monumenti del Lazio dal 1914 al 1928 e, dal 1928 al 1944 ispettore generale delle Antichità e Belle Arti del Governatorato di Roma). Si tratta del primo vero disegno urbanistico della città, in cui lo storico e urbanista immagina e attua la realizzazione dell’area archeologica Fori-Palatino-Campidoglio-Colosseo, ma anche quella del Teatro Marcello, di largo Argentina, di piazza Augusto Imperatore. È Muñoz che individua quali momenti della storia fissare negli scavi (nell’area dei fori i reperti sono distribuiti nell’arco di 11 secoli) e definisce un rapporto funzionale ed estetico tra “le” città storiche e quella moderna. Prima di ciò l’area archeologica centrale semplicemente non esisteva e, attraverso via dell’Impero, via Alessandrina, via della Consolazione è lui a stabilire un sistema di fruizione e convivenza tra i reperti e il tessuto urbano.

Insomma quello di cui bisognerebbe discutere è se quel sistema era giusto o sbagliato, se regge ancora a distanza di decenni, se esistono interventi migliorativi. E per farlo bisogna contrapporgli un disegno complessivo sulla città, non limitarsi ad interventi episodici o parziali nell’illusione di dar valore alla “più grande area archeologica del mondo”, come un corpo avulso, staccato dal contesto. È poi significativo il fatto che tutta l’attenzione viene concentrata sui via dei Fori Imperiali, considerando il resto, i Fori, come un paesaggio esistente in sé, scontato, immutabile: come dicevo la via fu solo un complemento alla creazione di un sistema archeologico frutto di una selezione e messa in evidenza (questa si ideologica) di reperti di epoche diverse, in parte ricostruiti attraverso la pratica di quelle “anastilosi” che fanno inorridire gli archeologi contemporanei Si tratta insomma di un paesaggio letteralmente inventato, che non è mai esistito in questa forma prima degli interventi novecenteschi, di cui il sistema viario è parte integrante, forse addirittura essenziale. Lo stesso limite dell’area archeologica fissato da Cederna e dai suoi seguaci a piazza Venezia è quello altrettanto arbitrariamente assunto dai creatori di via dei Fori Imperiali: se vogliamo essere consequenziali Roma intera è un parco archeologico, che racchiude tutti gli strati delle epoche che si sono succedute.

Tanto è vero questo che l’assessore all’urbanistica Caudo ha mostrato uno studio condotto da una commissione istituita dal sindaco Veltroni tra nel 2004, che prevede il ripristino di una serie di percorsi di attraversamento, pedonali e liberi, come ricucitura del tessuto urbano e sociale, progetto che prevedeva tuttavia il salvataggio della elevazione di via dei fori. Caudo sottoscrive i presupposti del piano ma ne contesta il salvataggio della strada. Eppure in quelle indicazioni c’è un principio di coerenza che verrebbe messa in crisi proprio dalla demolizione della principale platea di osservazione e il concetto ispiratore tende a ristabilire un asse funzionale cancellato dall’intervento del sindaco Petroselli che, accogliendo le indicazioni di Cederna, procedette allo smantellamento di via della Consolazione, percorso ormai pedonalizzato che copriva l’asse che il piano esposto dall’assessore vorrebbe rivitalizzare.

A ben vedere dunque anche la linea seguita da chi mostra di avere certezze al riguardo non è priva di contraddizioni e rischi. La posizione estrema, quella che sposò il sindaco Petroselli, aveva almeno il merito di essere inserita in un disegno più vasto, che prevedeva una radicale dislocazione delle funzioni della Capitale su quel “Sistema Direzionale Orientale” poi mai realizzato. Ora, prima di prendere qualsiasi decisione, bisognerebbe imporre un percorso di accurato, competente e libero studio, perché ogni intervento è destinato a produrre effetti irreversibili su un sistema particolarmente delicato e complesso.
Grazie quindi all’associazione Bianchi Bandinelli, ma non fermiamoci qui.

Umberto Croppi

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