Permesso di costruire in sanatoria

dicembre 12, 2013
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CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 29/10/2013 Sentenza n.44189

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
 
Dott. ALDO FIALE – Presidente
Dott. ALFREDO MARIA LOMBARDI – Consigliere
Dott. RENATO GRILLO – Consigliere
Dott. LORENZO ORILIA – Consigliere
Dott. CHIARA GRAZIOSI – Consigliere Rel.
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da TOGNOTTI GIUSEPPE N. IL 14/12/1964
avverso la sentenza n. 250/2011 CORTE APPELLO di TRENTO, del 20/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/09/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Vito D’Ambrosio che ha concluso per l’inammissibilità
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza del 20 giugno 2012 la Corte d’appello di Trento respingeva l’appello proposto da Tognotti Giuseppe avverso sentenza del 3 marzo 2011 con cui il gip del Tribunale di Rovereto lo aveva condannato alla pena di giorni 8 di arresto ed euro 16.000 di ammenda per i reati di cui agli articoli 110, 81 c.p. e 44, lettera c), d.p.r. 380/2001 (perché, durante l’esecuzione dei lavori di cui alla concessione edilizia n. 65/2007 per trasformazione a fini agrari, quale proprietario dei fondi in concorso con il direttore dei lavori e il legale rappresentante della società esecutrice materiale di essi, realizzava in totale difformità dal permesso, in area sottoposta a vincolo di tutela ambientale dal Piano Urbanistico Provinciale, due strade di arroccamento, un ampio terrazzamento in luogo di tre piccoli gradoni concessi e alcuni gradoni non autorizzati estirpando il bosco ed effettuando scavi e riporti di terreno capo A) e 110, 81 c.p., 181, comma 1, d.lgs. 42/2004 (per avere eseguito i suddetti lavori in totale difformità dalla deliberazione della Commissione comprensoriale per la tutela paesaggistico-ambientale n. 100 del 4 aprile 2007, in area tutelata per legge ex articolo 142, lettera g), d.lgs. 42/2004 in quanto coperta da boschi – capo B).
 
2. Ha presentato ricorso l’imputato adducendo due motivi. Il primo, riguardo al capo B, denuncia violazione di legge per omessa declaratoria di estinzione del reato per intervenuto accertamento della compatibilità ambientale exarticolo 181, comma 1 ter e comma 1 quater d.lgs. 42/2004, nonché motivazione manifestamente illogica. Dette norme prevedono infatti la possibilità di una valutazione postuma della compatibilità paesaggistica di alcuni interventi minori, e il Comitato Tecnico Forestale il 6 ottobre 2009 ha deliberato la concessione di tale sanatoria. Anche la Commissione Comprensoriale per la Tutela Paesaggistico Ambientale nel Comprensorio della Vallagarina l’8 luglio 2010 ha deliberato la compatibilità delle opere realizzate con la tutela paesaggistico-ambientale. Il secondo motivo denuncia violazione di legge con correlata motivazione illogica quanto al capo A, per essere intervenuta sanatoria edilizia. I giudici di merito avrebbero ritenuto che l’atto di sanatoria rilasciato dal Comune di Ala, pur intestato “Concessione edilizia in sanatoria”, non sia tale, in quanto subordina l’efficacia a lavori da effettuare entro 6 ottobre 2011; ma tali lavori non interesserebbero le opere abusive contestate.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
3. Il ricorso è infondato.
 
3.1 Entrambi i motivi rappresentano, in sostanza, la riproposizione di doglianze già presentate al giudice d’appello, confutandone la risposta della corte territoriale. Il primo motivo, in particolare, lamenta l’omessa declaratoria di estinzione del reato paesaggistico, nonostante l’esito positivo della procedura ex articolo 181, commi 1 ter e 1 quater, d.lgs. 42/2004, nonché una motivazione illogica perché di contenuto diverso rispetto ai pareri delle autorità amministrative. Rilevato che comunque una motivazione di per sé non può definirsi illogica perché non coincide, come contenuto, con un parere della P.A., si osserva che la corte territoriale ha esattamente affermato la non vincolatività delle valutazioni della competente autorità amministrativa in ordine alla sussistenza del reato. Invero, la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha da tempo chiarito che “in tema di reati paesaggistici, il rilascio del provvedimento di compatibilità paesaggistica non determina automaticamente la non punibilità dei predetti reati, in quanto compete sempre al giudice l’accertamento dei presupposti di fatto e giuridici legittimanti l’applicazione del cosiddetto condono ambientale” (Cass. sez. III, 27 maggio 2008 n. 27750; conforme Cass. sez. III, 29 novembre 2011-13 gennaio 2012 n. 889). La prospettazione del ricorrente, invece, adduce un automatismo che non corrisponde al dettato normativo. Premesso che l’articolo 1, commi 37, 38 e 39, I. 15 dicembre 2004 n. 308 ha introdotto il c.d. condono ambientale che è (pur permanendo le sanzioni amministrative pecuniarie previste dall’art. 167) causa di estinzione del reato di cui all’articolo 181, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, in tale articolo inserendo i commi 1 ter e 1 quater che lo disciplinano (Cass. sez. III, 7 dicembre 2007-9 gennaio 2008 n. 583; Cass. sez. III, 10 maggio 2006 n. 15946; Cass. sez. III, 26 ottobre 2005-3 febbraio 2006 n. 4429), il condono è configurato come diretto agli interventi minori, che sono appunto quelli identificati nel comma 1 ter dell’articolo 181, i quali possono essere oggetto, se l’interessato attiva la procedura di cui al comma 1 quater, di una valutazione ex post che ne accerti la limitata incidenza sull’assetto ambientale così come vincolato (da ultimo v. Cass. sez. III, 29 novembre 2011-13 gennaio 2012 n. 889, che in motivazione qualifica gli interventi come minori “in quanto caratterizzati da un impatto sensibilmente più modesto sull’assetto del territorio vincolato rispetto agli altri considerati nella medesima disposizione di legge”). Detti interventi sono i “lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazioni di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli illegittimamente realizzati” (comma 1 ter, lettera a), quelli che abbiano comportato “l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica” (comma 1 ter, lettera b) e quelli che costituiscono “interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria” ex articolo 3 d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380 (comma 1 ter, lettera c). Poiché, come appena evidenziato, l’emissione del provvedimento di compatibilità ambientale da parte della P.A. non elide il potere-dovere del giudice di verificare la sussistenza dei presupposti del condono ambientale in termini di fatto e di diritto, si deve dare atto che, nel caso di specie, effettuando i lavori difformi da quelli autorizzati dalla originaria deliberazione della Commissione comprensoriale per la tutela paesaggistico-ambientale n. 100 del 4 aprile 2007, il ricorrente ha realizzato tra l’altro due strade di arroccamento. Ora, come si è appena visto, tra gli interventi che il legislatore non consente di qualificare neppure ex post – cioè alla luce della concreta valutazione del loro effettivo impatto – compatibili all’ambiente è inclusa la creazione di “superfici utili”. Se è vero che il legislatore non fornisce, contestualmente, una definizione del concetto “superfici utili” in modo espresso, peraltro, alla luce della ratio normativa di preservazione dello status quo ambientale e mediante altresì una logica contestualizzazione – ogni concetto giuridico è pragmaticamente relativo al contesto in cui opera -, il suo significato è agevolmente identificabile in una immutazione stabile dell’assetto territoriale attuata a discapito della vincolata conformazione originaria, dalla quale nettamente prescinde, non integrandone alcuna specie di manutenzione (cfr. ancora Cass. sez. III, 29 novembre 2011-13 gennaio 2012 n. 889, per cui la nozione di superficie utile, va “individuata, in mancanza di specifica definizione, con riferimento alla finalità della disposizione che la contempla e, per quanto riguarda la disciplina paesaggistica,…considerando l’impatto dell’intervento sull’originario assetto paesaggistico del territorio” tale da “determinare una compromissione ambientale”). In quest’ottica, allora, la realizzazione di “due strade di arroccamento ad elevata pendenza” in un’area dove non risulta neppure che correlativamente vi fossero due preesistenti tracce dove sono state inserite le strade (l’attività dell’imputato è consistita, infatti, nella trasformazione di terreno boschivo a fini agricoli) non può non qualificarsi come un incisivo mutamento stabile dell’assetto territoriale (nel senso che la realizzazione di una strada, anche dove già preesisteva un sentiero, integri “una immutazione stabile dello stato dei luoghi” e non sia riconducibile ad attività di manutenzione Cass. sez. III, 13 gennaio 2005 n. 3725; nel senso che pure l’allargamento di una strada preesistente costituisca modificazione ambientale di carattere stabile Cass. sez. III, 3 giugno 2004 n. 33186). Né occorre, peraltro, accertare che, la “superficie utile” realizzata, per essere qualificabile come tale, debba inferire un concreto pregiudizio all’assetto territoriale in cui viene inserita, poiché il concetto deve essere rapportato alla natura del reato di cui circoscrive la sanatoria postuma, e l’articolo 181, comma 1, d.lgs. 42/2004 è (come ha evidenziato pure la corte territoriale) un reato di pericolo (Cass. sez.III, 20 ottobre 2009-22 gennaio 2010 n. 2903; Cass. sez.VI, 3 aprile 2006 n. 19733). In conclusione, l’attività criminosa svolta dall’imputato si colloca al di fuori dell’ambito del condono ambientale, per cui il motivo fondato sulla applicabilità di quest’ultimo risulta infondato.
 
3.2 Il secondo motivo censura la corte, ancora anche sul piano motivazionale, per avere escluso che la sanatoria edilizia abbia estinto il reato edilizio, essendo la concessione in sanatoria subordinata ad una serie di opere (che la sentenza elenca specificatamente a pagina 6 della motivazione). Il ricorrente non contesta la non idoneità a estinguere il reato di una concessione in sanatoria che prescriva interventi di adeguamento dell’opera abusiva; contestazione che, semmai, si porrebbe chiaramente in contrasto con la giurisprudenza di questa Suprema Corte, la quale insegna che la sanatoria edilizia ex articolo 36 d.p.r. 380/2001 (riproposizione, del resto, del previgente articolo 13 I. 28 febbraio 1985 n. 47) integra una fattispecie penale estintiva che si basa sull’accertamento dell’inesistenza di danno urbanistico mediante la verifica della doppia conformità agli strumenti urbanistici vigenti sia al momento del rilascio della concessione in sanatoria sia al momento della realizzazione dell’opera (Cass., sez. III, 21 ottobre 2008 n. 42526; Cass., sez. III, 18 dicembre 2003 n. 48499; Cass., sez. III, 18 marzo 2002 n. 11149), da ciò conseguendo che non ha effetto estintivo il rilascio in sanatoria del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici (da ultimo Cass. sez. III, 31 marzo 2011 n. 16591) e che comunque il permesso non può essere subordinato all’esecuzione di opere, che contrastano con la conformità agli strumenti urbanistici che deve già sussistere (da ultimo Cass. sez. III, 27 aprile 2011 n. 19587: “È illegittimo, e non determina l’estinzione del reato edilizio ai sensi del combinato disposto degli artt. 36 e 45 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria con effetti temporanei o relativo soltanto a parte degli interventi abusivi realizzati o, ancora, subordinato all’esecuzione di opere, atteso che ciò contrasta ontologicamente con gli elementi essenziali dell’accertamento di conformità, i quali presuppongono la già avvenuta esecuzione delle opere e la loro integrale conformità alla disciplina urbanistica”; conformi Cass. sez. III, 26 novembre 2003-9 gennaio 2004 n. 291 e la già citata Cass., sez. III, 18 dicembre 2003 n. 48499). Il ricorrente, invece, contesta che le opere prescritte siano attinenti alle opere abusive in cui si è concretato il reato edilizio, dovendosi riferire, a suo avviso, ad opere ulteriori. Si tratta, evidentemente, di una questione di fatto, attinente alla correlazione delle opere prescritte, correlazione che è stata comunque oggetto di uno specifico vaglio da parte del giudice d’appello, che lo ha esternato con una motivazione logica e congrua, la quale illustra come le prescrizioni non potevano non concernere proprio e soltanto le opere abusive contestate all’imputato (motivazione, pagine 7-8). Anche questo motivo risulta pertanto infondato.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 
P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 
Così deciso in Roma il 19 settembre 2013

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